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LA CENTRALITA' DI DIO NELL'EDUCAZIONE SCOLASTICA
Se l'educazione è l'incontro della persona con il vero, il bello e il buono, in ogni materia non può mancare Gesù Cristo

La scuola è lo snodo fondamentale di tutti i percorsi per la costruzione della società. Essa, educando o diseducando, contribuisce a formare i cittadini e il capitale umano. Come dice la Caritas in veritate, c'è una professionalità lavorativa e imprenditoriale ma prima c'è una professionalità umana da formare senza della quale anche quella lavorativa e professionale - e la cosa vale per tutti i campi - viene meno e si degrada. [...]
Normalmente si pensa che nell'educazione sia centrale la persona dell'educando e che, quindi, nella scuola sia centrale la figura dell'alunno o dello studente. La cosa ha una sua verità, dato che nella scuola si cerca la verità e la si trasmette alle nuove generazioni per la loro maturazione completa. Questa centralità dell'educando è stata riscoperta anche nella cultura cattolica tramite le correnti del personalismo cristiano del Novecento e, dopo il Concilio Vaticano II, la centralità della persona "principio soggetto e fine della società" ha ulteriormente accentuato questa impostazione.

LA SCUOLA È PER L'ALUNNO... MA L'ALUNNO PER CHI È?
Come si dice che la società è per la persona, si tende anche a dire che la scuola, che è come una società in piccolo, è per l'educando. Ma l'educando per chi è? Qui si dividono due modi molto diversi di intendere la scuola.
La Chiesa cattolica ha sempre sostenuto che la persona è per Dio e che, quindi, il fine ultimo della società lo si persegue ordinandola a Dio in tutte le sue dimensioni. Così è anche per la scuola. Anch'essa deve essere ordinata a Dio, che deve avervi un posto centrale. Solo in questo modo può essere perseguito anche il bene dell'educando, che non è il fine ultimo.
Si va invece imponendo la visione opposta: se la scuola ha come fine la persona, Dio non può trovarvi posto o, comunque, avrà un posto laterale e secondario ma non centrale. Il personalismo educativo ha quindi prodotto delle conclusioni non previste, ha favorito l'allontanamento di Dio dall'educazione ponendo al primo posto la persona. Ma in questo modo anche questo obiettivo è diventato impossibile perché senza Dio la persona non sa chi è, gli educatori non sanno chi sia l'uomo che essi devono educare. Si sono così configurate due tipi di scuola: una scuola che, avendo al centro Dio e assumendo come Maestro Gesù Cristo, si ritiene essere un luogo comunitario di educazione di quanti vi operano alla loro vocazione trascendente; oppure una scuola che si concentra orizzontalmente sui bisogni umani dell'educando, dimenticando la prospettiva religiosa.
La stessa scuola cattolica, col passare del tempo, ha di molto tralasciato la centralità di Dio nel processo educativo e si è adattata a modelli molto più laici. In tutti questi casi il punto di passaggio è stata la centralità dell'educando.
Nel XIX secolo gli Stati liberali europei iniziarono a togliere alla Chiesa il monopolio dell'educazione. Dal punto di vista della sostituzione della centralità della persona alla centralità di Dio, risulta incomprensibile la lotta contro di loro sostenuta dai Sommi Pontefici. Risulta invece comprensibile e addirittura auspicabile quella richiesta degli Stati. Il Giuseppinismo consisteva nel chiudere le scuole gestite dalla Chiesa dando vita ad un insegnamento pubblico statale. Questo insegnamento pubblico non era neutro. In esso mancava ogni riferimento a Dio e la sua filosofia di fondo divenne il Positivismo, che nella seconda metà dell'Ottocento era diventata una specie di religione civile degli Stati europei, a cui non si sottrasse nemmeno lo Stato italiano di Depretis e Crispi. La scuola pubblica statale, quindi, si contraddistingueva in negativo per la sua contrapposizione alla scuola della Chiesa, e in senso positivo perché mirava alla creazione di una mentalità e cultura nazionale capace da fare da collante spirituale laico allo Stato.

LA CHIESA HA IL DIRITTO E IL DOVERE DI GOVERNARE L'EDUCAZIONE PUBBLICA
Di fronte a questo processo di esclusione della religione cattolica dalla pubblica educazione e/o di subordinazione della stessa al potere civile, i Pontefici dell'epoca reagirono con vigore, rivendicando per la Chiesa un diritto originario di governare l'educazione pubblica.
Le proposizioni 45, 46 e 47 del Sillabo, annesso all'enciclica Quanta Cura di Pio IX dell'8 dicembre 1954, sono a tal proposito molto chiare.
Viene condannata la proposizione 45, che afferma: «Tutto il regime delle scuole pubbliche, nelle quali si educa la gioventù di qualsiasi stato cristiano, fatta eccezione soltanto in qualche modo per i seminari vescovili, può e deve essere attribuito all'autorità civile, e attribuito inoltre in modo tale, da non riconoscersi ad una qualsiasi altra autorità nessun diritto di immischiarsi nell'organizzazione delle scuole».
Viene condannata la proposizione 47 secondo la quale «La condizione ottimale della società civile richiede che le scuole popolari … siano sottratte ad ogni autorità, forza di regolamentazione, ingerenza della Chiesa, e che siano sottoposte al pieno controllo dell'autorità civile e politica».
Non sarebbe corretto valutare questa posizione solo come dettata da contingenze storiche, oppure sostenere che in precedenza la Chiesa aveva svolto un'opera di supplenza nei confronti di uno Stato assente che ora giustamente si prendeva le proprie responsabilità, oppure che la Chiesa aveva sbagliato a pretendere per sé quel ruolo centrale nell'educazione in quanto non era ancora emersa nel modo corretto la laicità del secolo. Queste ed altre spiegazioni non colgono una aspetto centrale di quella rivendicazione che, invece, la rende valida ancora oggi e per sempre.
L'aspetto centrale della questione è duplice: da un lato esso dice che non è possibile educare senza l'Assoluto Divino, dall'altro dice che se lo si nega si finisce per impostare l'educazione in base ad un altro assoluto, non-divino o anti-divino. Ciò che risulta, comunque, è l'impraticabilità della via personalistica, ossia di considerare la persona dell'educando come il centro e il fine dell'educazione e della scuola. Aver praticato questa strada e continuare a farlo è indice di ingenuità educativa.

LE SCUOLE NON POSSONO CHE ESSERE CATTOLICHE
Dicevamo che quella posizione dei Sommi Pontefici risulta oggi incomprensibile a chi ha intrapreso la strada della centralità della persona nella scuola. Ed infatti è una posizione che viene condannata e rigettata. Essa però poneva in forme adatte ai tempi un nodo difficilmente eludibile. Cosa può indurre una persona a penetrare così nel profondo di sé e trarne fuori verità talmente assolute da dare un senso ultimo alla sua esistenza se non Dio? Chi, se non Lui, può salvare il percorso educativo dal suo sempre possibile esito nichilistico? L'uomo non afferra se stesso se non viene a sua volta afferrato da Dio. Come giustificare un percorso di ricerca della verità se non in virtù di Colui che è la Verità? Se l'educazione è un percorso di libertà, non potrà essere certo la singola persona a liberarsi – dato che è proprio essa a manifestare il bisogno di essere liberata – ma Dio. La comunità degli educatori da dove riceve il diritto di intervenire così in profondità nella vita dell'educando se non per il bene assoluto di quella persona e chi può sostenere questo bene assoluto se non Dio, che è il Bene?
La Chiesa dell'Ottocento rivendicava a se stessa un diritto originario ed assoluto sull'educazione e sulla scuola. Le scuole non potevano che essere cattoliche. Ciò non per un desiderio di potere o per gestire un monopolio lucrativo. Se l'educazione è l'incontro della persona con il vero, il bello e il buono, poteva forse mancare da questo luogo Gesù Cristo? E il vero, il bello e il buono potevano darsi, sarebbero stati raggiungibili senza Gesù Cristo? Nella scuola la persona si incontra con Gesù perché vuole incontrarsi fino in fondo con se stessa, questo è il punto, e quindi lì la Chiesa deve esserci.
L'educazione della persona ha sempre un carattere assoluto, perché la ricerca dell'uomo non si ferma fino a che non arriva al fondamento ultimo del senso. Questo fondamento ultimo ha sempre carattere assoluto e non può essere l'uomo: un umanesimo assoluto è una contraddizione in termini e una cosa funesta. Ecco perché l'educazione o giunge a Dio o giunge ad un altro assoluto, che possieda l'anima dell'educando con la stessa forza ma non nella stessa libertà. L'educazione non mira all'autodeterminazione, essa mira sempre, in un caso o nell'altro, a consegnarsi a Qualcuno. Se questo è Cristo la consegna di sé significa anche il respiro della vera libertà, se è altri si sperimenta il fallimento, non meno assoluto però.
Per questi motivi è necessario che i cattolici ricomincino a pensare ad una scuola con Dio al centro. Questo vale sia per gli aspetti strettamente educativi, ma anche per l'organizzazione sociale e politica della scuola stessa nella società attuale. [...]

Stefano Fontana
Fonte: Bollettino di Dottrina Sociale, gennaio-marzo 2015