alleanzaparentale.it n°2 del 06 giugno 2022

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1 LA CENTRALITA' DI DIO NELL'EDUCAZIONE SCOLASTICA
Se l'educazione è l'incontro della persona con il vero, il bello e il buono, in ogni materia non può mancare Gesù Cristo
Fonte:
2 LA SCUOLA DI STATO E' UN ABUSO!
La responsabilità dell'educazione è dei genitori (e della Chiesa)
Fonte:
3 LO SCOPO DEGLI INSEGNANTI? INDICARE IL PARADISO
Il compito degli insegnanti non si esaurisce nella trasmissione del sapere, ma deve essere caratterizzato da una viva preoccupazione morale e religiosa
Fonte:
4 LE CLASSI DIVISE IN MASCHI E FEMMINE HANNO MIGLIORI RISULTATI
L'introduzione delle classi miste negli anni '60 fu imposto in Italia senza basi scientifiche e oggi gli alunni ne subiscono le conseguenze: bisogna tornare a dividere maschi e femmine
Fonte:
5 DON BOSCO E LA PEDAGOGIA PREVENTIVA
Nell'educazione dei ragazzi san Giovanni Bosco mirava a prevenire gli errori del comportamento piuttosto che a curarli dopo che questi si fossero manifestati
Fonte:
6 EDUCARE I BAMBINI IN UN MONDO ALLA ROVESCIA
Il compito educativo spetta ai genitori: non alla scuola, non allo Stato, non agli esperti, ma ai genitori (che devono creare ambienti educativi in sintonia con i principi cristiani)
Fonte:
7 TROPPA SCUOLA FA MALE
Il mito del ''tempo pieno'' lavora contro la famiglia: oggi i nostri bambini trascorrono a scuola più tempo di quello che noi genitori trascorriamo in ufficio
Fonte:
8 I COMPITI A CASA FANNO PIU' DANNI CHE BENEFICI
La Finlandia, al top delle classifiche sull'educazione, ha abolito i compiti, mentre in Italia la situazione è disastrosa anche (ma non solo) per lo stress dei compiti
Fonte:
9 ISTRUZIONI PER APRIRE UNA SCUOLA PARENTALE
Una scuola parentale può nascere quando famiglie amiche si mettono d'accordo per creare un ambiente educativo comunitario per i loro figli (queste ''regole'' valgono anche per chi intende fare homeschooling)
Fonte:
10 CATTIVI MAESTRI (1): MONTESSORI
Maria Montessori nega il principio di autorità e il peccato originale e quindi basa il suo metodo educativo sulla spontaneità (il successo è dovuto al fatto che si adatta perfettamente a pacifismo, ambientalismo, gender, ecc.)
Fonte:
11 CATTIVI MAESTRI (2): RUDOLF STEINER
I medici e gli insegnanti che si ispirano al pensiero steineriano sono molto pericolosi (inoltre la società antroposofica di Steiner propaganda eresie)
Fonte:
12 CATTIVI MAESTRI (3): DON MILANI
Il parroco della Barbiana ha contribuito alla devastazione della scuola italiana (che non premia i meriti, toglie autorevolezza al docente, non prepara alla vita, non educa, anzi devasta i ragazzi)
Fonte:

1 - LA CENTRALITA' DI DIO NELL'EDUCAZIONE SCOLASTICA
Se l'educazione è l'incontro della persona con il vero, il bello e il buono, in ogni materia non può mancare Gesù Cristo
articolo non firmato

La scuola è lo snodo fondamentale di tutti i percorsi per la costruzione della società. Essa, educando o diseducando, contribuisce a formare i cittadini e il capitale umano. Come dice la Caritas in veritate, c'è una professionalità lavorativa e imprenditoriale ma prima c'è una professionalità umana da formare senza della quale anche quella lavorativa e professionale - e la cosa vale per tutti i campi - viene meno e si degrada. [...]
Normalmente si pensa che nell'educazione sia centrale la persona dell'educando e che, quindi, nella scuola sia centrale la figura dell'alunno o dello studente. La cosa ha una sua verità, dato che nella scuola si cerca la verità e la si trasmette alle nuove generazioni per la loro maturazione completa. Questa centralità dell'educando è stata riscoperta anche nella cultura cattolica tramite le correnti del personalismo cristiano del Novecento e, dopo il Concilio Vaticano II, la centralità della persona "principio soggetto e fine della società" ha ulteriormente accentuato questa impostazione.

LA SCUOLA È PER L'ALUNNO... MA L'ALUNNO PER CHI È?
Come si dice che la società è per la persona, si tende anche a dire che la scuola, che è come una società in piccolo, è per l'educando. Ma l'educando per chi è? Qui si dividono due modi molto diversi di intendere la scuola.
La Chiesa cattolica ha sempre sostenuto che la persona è per Dio e che, quindi, il fine ultimo della società lo si persegue ordinandola a Dio in tutte le sue dimensioni. Così è anche per la scuola. Anch'essa deve essere ordinata a Dio, che deve avervi un posto centrale. Solo in questo modo può essere perseguito anche il bene dell'educando, che non è il fine ultimo.
Si va invece imponendo la visione opposta: se la scuola ha come fine la persona, Dio non può trovarvi posto o, comunque, avrà un posto laterale e secondario ma non centrale. Il personalismo educativo ha quindi prodotto delle conclusioni non previste, ha favorito l'allontanamento di Dio dall'educazione ponendo al primo posto la persona. Ma in questo modo anche questo obiettivo è diventato impossibile perché senza Dio la persona non sa chi è, gli educatori non sanno chi sia l'uomo che essi devono educare. Si sono così configurate due tipi di scuola: una scuola che, avendo al centro Dio e assumendo come Maestro Gesù Cristo, si ritiene essere un luogo comunitario di educazione di quanti vi operano alla loro vocazione trascendente; oppure una scuola che si concentra orizzontalmente sui bisogni umani dell'educando, dimenticando la prospettiva religiosa.
La stessa scuola cattolica, col passare del tempo, ha di molto tralasciato la centralità di Dio nel processo educativo e si è adattata a modelli molto più laici. In tutti questi casi il punto di passaggio è stata la centralità dell'educando.
Nel XIX secolo gli Stati liberali europei iniziarono a togliere alla Chiesa il monopolio dell'educazione. Dal punto di vista della sostituzione della centralità della persona alla centralità di Dio, risulta incomprensibile la lotta contro di loro sostenuta dai Sommi Pontefici. Risulta invece comprensibile e addirittura auspicabile quella richiesta degli Stati. Il Giuseppinismo consisteva nel chiudere le scuole gestite dalla Chiesa dando vita ad un insegnamento pubblico statale. Questo insegnamento pubblico non era neutro. In esso mancava ogni riferimento a Dio e la sua filosofia di fondo divenne il Positivismo, che nella seconda metà dell'Ottocento era diventata una specie di religione civile degli Stati europei, a cui non si sottrasse nemmeno lo Stato italiano di Depretis e Crispi. La scuola pubblica statale, quindi, si contraddistingueva in negativo per la sua contrapposizione alla scuola della Chiesa, e in senso positivo perché mirava alla creazione di una mentalità e cultura nazionale capace da fare da collante spirituale laico allo Stato.

LA CHIESA HA IL DIRITTO E IL DOVERE DI GOVERNARE L'EDUCAZIONE PUBBLICA
Di fronte a questo processo di esclusione della religione cattolica dalla pubblica educazione e/o di subordinazione della stessa al potere civile, i Pontefici dell'epoca reagirono con vigore, rivendicando per la Chiesa un diritto originario di governare l'educazione pubblica.
Le proposizioni 45, 46 e 47 del Sillabo, annesso all'enciclica Quanta Cura di Pio IX dell'8 dicembre 1954, sono a tal proposito molto chiare.
Viene condannata la proposizione 45, che afferma: «Tutto il regime delle scuole pubbliche, nelle quali si educa la gioventù di qualsiasi stato cristiano, fatta eccezione soltanto in qualche modo per i seminari vescovili, può e deve essere attribuito all'autorità civile, e attribuito inoltre in modo tale, da non riconoscersi ad una qualsiasi altra autorità nessun diritto di immischiarsi nell'organizzazione delle scuole».
Viene condannata la proposizione 47 secondo la quale «La condizione ottimale della società civile richiede che le scuole popolari … siano sottratte ad ogni autorità, forza di regolamentazione, ingerenza della Chiesa, e che siano sottoposte al pieno controllo dell'autorità civile e politica».
Non sarebbe corretto valutare questa posizione solo come dettata da contingenze storiche, oppure sostenere che in precedenza la Chiesa aveva svolto un'opera di supplenza nei confronti di uno Stato assente che ora giustamente si prendeva le proprie responsabilità, oppure che la Chiesa aveva sbagliato a pretendere per sé quel ruolo centrale nell'educazione in quanto non era ancora emersa nel modo corretto la laicità del secolo. Queste ed altre spiegazioni non colgono una aspetto centrale di quella rivendicazione che, invece, la rende valida ancora oggi e per sempre.
L'aspetto centrale della questione è duplice: da un lato esso dice che non è possibile educare senza l'Assoluto Divino, dall'altro dice che se lo si nega si finisce per impostare l'educazione in base ad un altro assoluto, non-divino o anti-divino. Ciò che risulta, comunque, è l'impraticabilità della via personalistica, ossia di considerare la persona dell'educando come il centro e il fine dell'educazione e della scuola. Aver praticato questa strada e continuare a farlo è indice di ingenuità educativa.

LE SCUOLE NON POSSONO CHE ESSERE CATTOLICHE
Dicevamo che quella posizione dei Sommi Pontefici risulta oggi incomprensibile a chi ha intrapreso la strada della centralità della persona nella scuola. Ed infatti è una posizione che viene condannata e rigettata. Essa però poneva in forme adatte ai tempi un nodo difficilmente eludibile. Cosa può indurre una persona a penetrare così nel profondo di sé e trarne fuori verità talmente assolute da dare un senso ultimo alla sua esistenza se non Dio? Chi, se non Lui, può salvare il percorso educativo dal suo sempre possibile esito nichilistico? L'uomo non afferra se stesso se non viene a sua volta afferrato da Dio. Come giustificare un percorso di ricerca della verità se non in virtù di Colui che è la Verità? Se l'educazione è un percorso di libertà, non potrà essere certo la singola persona a liberarsi – dato che è proprio essa a manifestare il bisogno di essere liberata – ma Dio. La comunità degli educatori da dove riceve il diritto di intervenire così in profondità nella vita dell'educando se non per il bene assoluto di quella persona e chi può sostenere questo bene assoluto se non Dio, che è il Bene?
La Chiesa dell'Ottocento rivendicava a se stessa un diritto originario ed assoluto sull'educazione e sulla scuola. Le scuole non potevano che essere cattoliche. Ciò non per un desiderio di potere o per gestire un monopolio lucrativo. Se l'educazione è l'incontro della persona con il vero, il bello e il buono, poteva forse mancare da questo luogo Gesù Cristo? E il vero, il bello e il buono potevano darsi, sarebbero stati raggiungibili senza Gesù Cristo? Nella scuola la persona si incontra con Gesù perché vuole incontrarsi fino in fondo con se stessa, questo è il punto, e quindi lì la Chiesa deve esserci.
L'educazione della persona ha sempre un carattere assoluto, perché la ricerca dell'uomo non si ferma fino a che non arriva al fondamento ultimo del senso. Questo fondamento ultimo ha sempre carattere assoluto e non può essere l'uomo: un umanesimo assoluto è una contraddizione in termini e una cosa funesta. Ecco perché l'educazione o giunge a Dio o giunge ad un altro assoluto, che possieda l'anima dell'educando con la stessa forza ma non nella stessa libertà. L'educazione non mira all'autodeterminazione, essa mira sempre, in un caso o nell'altro, a consegnarsi a Qualcuno. Se questo è Cristo la consegna di sé significa anche il respiro della vera libertà, se è altri si sperimenta il fallimento, non meno assoluto però.
Per questi motivi è necessario che i cattolici ricomincino a pensare ad una scuola con Dio al centro. Questo vale sia per gli aspetti strettamente educativi, ma anche per l'organizzazione sociale e politica della scuola stessa nella società attuale. [...]

Stefano Fontana
Fonte: Bollettino di Dottrina Sociale, gennaio-marzo 2015


2 - LA SCUOLA DI STATO E' UN ABUSO!
La responsabilità dell'educazione è dei genitori (e della Chiesa)
articolo non firmato

Nell'Ottocento la Chiesa contestava allo Stato il monopolio dell'educazione. Partita persa dato che oggi essa è completamente in mano allo Stato. Partita persa perché incentrando la scuola sull'educando e non su Dio, si è diffusa l'idea di averla fissata su un obiettivo laico, che anche lo Stato poteva perseguire. Fu così che la scuola confessionale fu considerata "di parte" mentre la scuola statale fu considerata non di parte. La realtà è esattamente il contrario. Già nell'Ottocento lo Stato nelle proprie scuole insegnava una sua religione, la religione massonica di un umanitarismo universale sul tipo del libro "Cuore" in cui la parola Dio non viene mai pronunciata. Oppure la religione del prete apostata Ardigò: il positivismo. Oppure la religione del vate Giosuè Carducci e del suo "Inno a Satana".

LA DRAMMATICA SITUAZIONE DI OGGI
Oggi, però, lo Stato non è da meno. Anche oggi, in un clima di apparente pluralismo culturale ed educativo, nella scuola statale si insegna una nuova religione che, nel caso migliore, è la religione del relativismo e nel caso peggiore è quella del neo-catarismo. La penetrazione della ideologia del gender e dell'omosessualismo nella scuola pubblica è una penetrazione organizzata e sistematica che, in progressione, non lascerà nessuno spazio di libertà. Ma anche lasciando da parte queste forme acute di oppressione educativa, la scuola di Stato veicola un pensiero unico penetrante e invasivo:
1) elimina sistematicamente alcuni autori,
2) dà una visione antireligiosa del sapere,
3) assume un'ottica illuminista o neoilluminista,
4) tace su interi periodi della storia umana come il Medio Evo,
5) uniforma i testi scolastici alla medesima ideologia,
6) denigra la storia della Chiesa,
7) assume il criterio cronolatrico secondo cui il nuovo è anche migliore,
8) condanna con forme di damnatio memoriae personaggi e periodi storici considerandoli ideologicamente il male assoluto.

LA SCUOLA DI STATO NON EDUCA ED INOLTRE LIMITA LE PARITARIE
Leone XIII, nel 1879, davanti al dilagare della religione positivista nelle scuole italiane, scrisse l'enciclica Aeterni Patris, con la quale rilanciava la filosofia di San Tommaso. Egli aveva percepito la gravità del problema. Aveva capito che la scuola di Stato non era neutra ma governata da un assoluto naturalista e razionalista sostanzialmente anticristiano e che, se non contrastata, avrebbe distrutto l'educazione stessa. Oggi, molti si chiedono se la scuola statale educhi ancora. Molti rispondono di no e questo senza nulla togliere alla grande e solerte dedizione di molti insegnanti.
Molti si chiedono anche se il sistema della scuola paritaria sia sufficiente a ridare alla Chiesa degli spazi veri di azione educativa nella scuola. Un sistema pubblico integrato, come avviene nella scuola italiana a parte l'aspetto della parità economica che non viene garantito, sembrerebbe idoneo a quello scopo. C'è però da dire che la scuola cattolica paritaria viene inserita in un contesto che ne limita di molto la libertà. La programmazione delle abilità, i criteri di valutazione, i sistemi di valutazione, la tipologia delle prove sono elementi che la scuola di Stato impone alle scuole paritarie. Essi non sono mai neutri, ma funzionali ad un modello di educazione. Le circolari, gli orientamenti, le indicazioni per il recupero delle difficoltà, la normativa per le attività complementari o di sostegno sono emesse dallo Stato e vengono recepire dalle scuole paritarie cattoliche con scarsissima creatività. Molto spesso, a parte casi di forte identità nelle convinzioni degli operatori, nelle scuole paritarie si insegna nello stesso modo delle scuole statali, solo, magari, con la messa all'inizio e alla fine dell'anno scolastico.

LA SCUOLA NON DEVE ESSERE DELLO STATO, MA DELLA CHIESA
La scuola non può essere dello Stato. A questa concezione la Chiesa ha sempre opposto che la scuola è della Chiesa, e questo lo abbiamo già visto sopra, e che la scuola è delle famiglie. Se nella scuola e nell'educazione avviene qualcosa di molto più fondamentale che non l'apprendimento di alcuni rudimenti e comportamenti, la prima titolarità educativa appartiene ai genitori, che per primi si sono assunti il compito di educare i loro figli davanti a Dio e secondo i suoi insegnamenti. Nella scuola il bambino mette in rapporto la propria più profonda intimità con la verità e, così facendo, si mette in cerca dell'Assoluto, perché niente di relativo lo soddisferà mai più. Questo rapporto dell'educazione con l'assoluto, che era già stato messo in evidenza da Socrate, richiede che a sorvegliarne il processo siano i genitori, gli unici ad avere le chiavi dell'intimità dei propri figli non in assoluto ma secondo il progetto di Dio su di loro. I genitori cristiani hanno una sapienza del cuore rispetto alla vita dei loro figli che deriva loro dall'averli concepiti nella luce di Dio. Ma c'è anche una sapienza naturale che conferisce ai genitori questa capacità, anche se senza la fede rischia di non avere sufficiente sostegno nella vita concreta.
Intesa in questo modo, la responsabilità dei genitori nell'educazione dei figli coincide in fondo con la responsabilità della Chiesa. Rivendicando il primato dei genitori sullo Stato, la Chiesa non si limita a rivendicare un elemento di diritto naturale, ma vi aggiunge anche un motivo squisitamente religioso: i figli sono di Dio e, vicariamente, dei genitori che li educano nel progetto di Dio. Tramite la centralità della famiglia, la Chiesa riconduce il tema al suo vero cuore: la centralità di Dio.
A questo fine giunge in aiuto la dottrina della sussidiarietà, secondo cui lo Stato non può sostituirsi alla famiglia nei compiti che le sono propri per natura e per disegno divino, deve piuttosto aiutarla a perseguirli con le sue forze o con l'aiuto delle società superiori che tuttavia non deve mai essere di sostituzione, ma di aiuto sussidiario e supplente.

Stefano Fontana
Fonte: Bollettino di Dottrina Sociale, gennaio-marzo 2015


3 - LO SCOPO DEGLI INSEGNANTI? INDICARE IL PARADISO
Il compito degli insegnanti non si esaurisce nella trasmissione del sapere, ma deve essere caratterizzato da una viva preoccupazione morale e religiosa
articolo non firmato

Tra le opere di La Salle, spiccano due scritti pedagogici: la Guida delle Scuole cristiane e le Regole di buona creanza e di cortesia cristiana. Nonostante siano stati redatti circa tre secoli fa, da esse emergono esigenze e orientamenti educativi di straordinaria attualità. Due sono le questioni fondamentali che stanno al centro della Guida: la prima riguarda la possibilità di dar vita a una scuola aperta a chiunque, utile alla salvezza delle anime e capace di presentarsi come un luogo attraente, non dominato soltanto dalla preoccupazione di sorvegliare e punire. La seconda questione che La Salle affrontò nello scrivere quest'opera fu quella di definire positivamente il ruolo dell'insegnante.

LA VITA ETERNA DEGLI STUDENTI
Il grande educatore seppe dare risposta ad ambedue i problemi sopra ricordati: egli infatti riuscì a far sorgere un nuovo tipo di scuola, attenta ai veri bisogni degli alunni e gratuita, e seppe altresì indicare un modello di insegnante davvero innovativo, il "fratello delle scuole cristiane", un religioso non prete che fa dell'insegnamento il proprio ministero apostolico; non più, dunque, solamente un mestiere, ma un'azione derivante da una speciale consacrazione e finalizzata alla salvezza eterna dei giovani studenti, specialmente quelli provenienti da situazioni di povertà e disagio sociale. Per tali motivi, la Guida prevede che durante la giornata scolastica sia dedicato il tempo necessario alla Santa Messa, alla preghiera e alla riflessione spirituale, che le letture proposte agli allievi provengano sempre dalla Sacra Bibbia o comunque da testi edificanti e che gli insegnanti, trasformati in autentici testimoni del vangelo, si sentano costantemente tenuti a fornire il buon esempio ai giovani. Le numerosissime prescrizioni contenute nella Guida trovano la loro giustificazione in un unico desiderio che anima La Salle: la scuola cristiana e l'attività di coloro che vi operano hanno senso soltanto se inquadrate nel disegno salvifico predisposto da Dio per l'umanità. Secondo il Santo di Reims, educare significa soprattutto cooperare con il Signore affinchè le anime conquistino il Paradiso.

UN APPELLO ALLA SANTITÀ
Le Regole di buona creanza e di cortesia cristiana, che ebbero un'amplissima diffusione, sono una sorta di galateo che indica uno stile di vita elevato e autenticamente cristiano: con esso La Salle rivolge un accorato appello alla santità personale e alla santificazione dei rapporti sociali. Egli è convinto che soltanto vivendo secondo lo spirito di Gesù Cristo sia possibile compiere azioni buone e gradite a Dio: non si tratta di rispettare fredde regole formali, ma di improntare la vita a uno stile evangelico, l'unico che permette di rendere gloria a Dio e di salvare la propria anima. Seppur per ragioni diverse, sia la Guida delle Scuole cristiane che le Regole di buona creanza e di cortesia cristiana contengono numerose indicazioni pratiche che in questa sede non è possibile riportare. Qui sembra maggiormente importante richiamare l'attenzione su alcuni aspetti comuni alle due opere e, attraverso di essi, sul significato complessivo dell'insegnamento lasalliano.

UNA SCELTA ACCURATA DEI DOCENTI
La prima basilare certezza di La Salle riguarda la necessità di poter disporre di maestri fedeli al Vangelo, perché l'educazione cristiana presuppone la presenza di educatori ben formati: di qui la sua particolare cura per la preparazione degli insegnanti, che egli vuole solidi interiormente e moralmente ineccepibili. Per il Santo di Reims, il compito della scuola non si esaurisce nell'ambito della trasmissione del sapere, ma deve essere caratterizzato da una viva preoccupazione morale. Vi sono altri elementi distintivi della scuola lasalliana sui quali è opportuno soffermare l'attenzione.

NON PUNIZIONI MA PERSUASIONE
Innanzitutto, una nuova concezione della disciplina, che non viene più basata su castighi e punizioni, bensì sulla persuasione: al maestro devono stare a cuore le convinzioni interiori maturate dall'alunno e non certo la sua paura nei confronti degli educatori. Inoltre La Salle raccomanda che si tengano in speciale considerazione il carattere e le propensioni naturali di ogni singolo allievo: i maestri devono sapere comprendere il più a fondo possibile la personalità dei giovani a loro affidati dalla scuola. Una sintesi molto valida della luminosa testimonianza del Santo francese è offerta dalle seguenti considerazioni apparse sulla «Rivista lasalliana» nel 1957: «Ciò permette di collocare [...] tutta l'opera di San Giovanni Battista de La Salle [...] sotto il doppio aspetto di restaurazione dell'uomo nella società (il riscatto dalla miseria e dall'ignoranza) e nella santificazione delle forme sacramentali e liturgiche (vita parrocchiale, culto pubblico, voti religiosi, disciplina della penitenza e dei sacramenti) [....]. Metteremo dunque anche noi il Santo istitutore accanto a San Francesco di Sales (1567 - 1622), la cui opera pare tuttavia più conclusa nel campo ecclesiastico-monacale; a San Vincent de Paul (1581 - 1660), che non lasciò quasi miseria senza riscatto, cercando le anime attraverso i corpi; a San Jean Eudes (1601 - 1680) e a San Louis Grignion de Montfort (1673 - 1700), che rinnovarono la devozione cristiana, richiamandola alla sostanzialità della fede e delle opere».

Maurizio Schoepflin
Fonte: Il Timone, novembre 2015


4 - LE CLASSI DIVISE IN MASCHI E FEMMINE HANNO MIGLIORI RISULTATI
L'introduzione delle classi miste negli anni '60 fu imposto in Italia senza basi scientifiche e oggi gli alunni ne subiscono le conseguenze: bisogna tornare a dividere maschi e femmine
articolo non firmato

Il termine educazione omogenea [...] indica un modello educativo basato sull'attenzione alle specificità maschili e femminili, perseguita attraverso l'organizzazione di momenti educativi nei quali alunni e alunne vengono separati per sesso. In questo senso si parla anche di "educazione specifica". Nei Paesi anglofoni si usa l'espressione "single sex education".
Al di là della terminologia che si preferisce adottare, il concetto che sta alla base di questo modello educativo è che le differenze di genere tra maschi e femmine dovrebbero essere sempre tenute in adeguata considerazione, soprattutto a scuola, per favorire una crescita più armonica e completa dei giovani. [...]
La recente diffusione del modello di educazione omogenea in alcuni Paesi e l'estensione del dibattito sul confronto tra tale modello e quello della coeducazione (riferimento teorico della cosiddetta "scuola mista") è dovuto al fatto che molte ricerche sembrano ormai dimostrare che il bene dell'educando può essere perseguito meglio se si tiene conto delle specificità del suo sesso. È stato accertato infatti che esistono forti condizionamenti neurobiologici che permettono di parlare di un modo maschile o femminile di apprendere e di conoscere. Tali condizionamenti non possono essere eliminati e non possono essere ignorati dagli insegnanti senza produrre danno. La cognizione della donna è in genere più emotiva e sintetica, più completa, ed è meno analitica. I ragazzi, di solito, hanno più facilità nella percezione spaziale, nel ragionamento astratto, nel fare programmi a lunga scadenza e nello svolgere attività fisico-motorie, mentre le ragazze sono meglio predisposte alla padronanza del linguaggio, all'arte e alle scienze sociali.
Storicamente, nella maggior parte dei casi, l'educazione a scuola avveniva in ambiente omogeneo fino a metà degli anni sessanta. Da allora in poi si è progressivamente diffusa la scuola mista, ma si è trattato di una scelta organizzativa che non è stata preceduta da studi e da sperimentazioni. In effetti, non è facile trovare pubblicazioni scientifiche anteriori a quel cambiamento, che lo giustifichino pedagogicamente. [...]
Attualmente nel mondo sono circa 40 milioni gli studenti che frequentano scuole omogenee. [...]

LA SITUAZIONE IN ITALIA
Attualmente in Italia il modello omogeneo (single-sex) è statisticamente quasi irrilevante. [...] Infatti è molto diffusa l'opinione che l'unico modello scolastico esistente sia quello misto. A conferma di ciò, si aggiunge il fatto che periodicamente appaiono sui principali organi di stampa alcuni articoli che, sebbene diano notizia del dibattito sul confronto tra scuole miste e scuole che adottano un'educazione specifica per ragazzi e ragazze, si riferiscono però soprattutto a ricerche internazionali.
Sul piano scientifico, alcuni studiosi hanno sottolineato l'anomalia di un sistema d'istruzione che, in quanto pubblico, dovrebbe contemplare entrambe le possibilità, sia per soddisfare la richiesta delle famiglie, sia per alimentare un confronto basato su ricerche sperimentali e non su contrapposizioni ideologiche.
Per questo motivo, da alcuni anni si valuta la consistenza degli elementi a favore di entrambi i modelli educativi nell'ambito di convegni o di corsi universitari. In particolare si vede la necessità di trovare nuove strade per una educazione più attenta alle esigenze degli alunni, anche sotto l'aspetto della loro identità di genere.
Dal 2007, presso alcune università si è cominciato ad affrontare il tema nel contesto delle attività di formazione per futuri docenti di scuola secondaria superiore. È emerso infatti che nella scuola mista italiana ci si è a volte limitati a mettere insieme maschi e femmine, pensando che la semplice vicinanza dei due sessi fosse sufficiente a produrre effetti positivi. [...]
La maggior parte degli esperti concorda sul fatto che nella scuola italiana non sempre c'è una adeguata attenzione alle specificità dei due sessi. Infatti ai ragazzi e alle ragazze vengono di solito offerti i medesimi stimoli educativi, con gli stessi metodi, gli stessi ritmi, i medesimi stili, senza tenere conto delle loro differenze neurobiologiche e del loro diverso modo di vedere la realtà. Tali differenze, a giudizio dei più, andrebbero valorizzate in una prospettiva di collaborazione e non ignorate o esasperate. [...]
In Gran Bretagna c'è una tradizione molto radicata di educazione omogenea, sia tra le scuole statali che tra quelle non statali. La National Foundation for Educational Research ha pubblicato nel 2002 i risultati di uno studio su quasi tremila high schools, per un totale di trecentosettantamila alunni, giungendo alla conclusione che il rendimento degli studenti delle scuole omogenee (single-sex) è nettamente più alto rispetto alla media. [...]

Fonte: Wikipedia


5 - DON BOSCO E LA PEDAGOGIA PREVENTIVA
Nell'educazione dei ragazzi san Giovanni Bosco mirava a prevenire gli errori del comportamento piuttosto che a curarli dopo che questi si fossero manifestati
articolo non firmato

Don Bosco viene ricordato anche per la sua pedagogia. Essa è stata definita "preventiva", ovvero una pedagogia che mirava ad evitare gli errori comportamentali piuttosto che a curarli dopo che questi si fossero manifestati. In realtà il famoso sacerdote piemontese era convinto che la pedagogia vera non avesse bisogno di metodi precostituiti, ma decise lo stesso di dare un nome alla sua pedagogia perché doveva pur dare una definizione da presentare al ministro Rattazzi.

L'ESISTENZA DELLA VERITÀ
La pedagogia di Don Bosco era ovviamente una pedagogia che si basava sulla convinzione dell'esistenza della verità. Sulla convinzione cioè che il soggetto che la pedagogia doveva servire (il fanciullo), pur nelle diversità contestuali, familiari e sociali, fosse sempre lo stesso, ovvero un dato perenne. A dimostrazione di ciò, egli affermava che il primo bisogno del fanciullo fosse quello di essere amato. Sperimentò che quando un giovane o un fanciullo vive nella strada o una vita animalesca nei tuguri, diventa diffidente e scontroso. Invece, quando gli si dimostra affetto e lo si circonda di calore e simpatia, le cose cambiano. Insomma, va fatto capire ai fanciulli che la loro vita non è senza senso, ma sempre frutto di un progetto di amore, che non si è "gettati" nel mondo, ma che invece si ha la possibilità di essere accompagnati dall'Assoluto.
Ma come mai don Bosco era convinto che il fanciullo, una volta amato, tendesse sempre a rispondere positivamente? La risposta sta nel fatto che egli era convinto che nessun fanciullo fosse veramente cattivo. Attenzione però: questa convinzione non si poneva all'interno di una prospettiva di tipo roussoniana (l'uomo in natura è sempre buono, ciò che lo corrompe è il progresso e la società), quanto nella concezione autenticamente cattolica del peccato originale. Il Santo credeva che il fanciullo, più facilmente dell'adulto, tendesse a rispondere alla pedagogia del'amore, perché questi (il fanciullo) ancora conserva in sé le gemme preziose della grazia santificante ricevuta dal Battesimo e di una vita senza malizia.
Dunque, "prevenzione" del suo metodo vuol dire appunto prendere i fanciulli quanto prima: evitare che si possano guastare e quindi rendere più difficile il loro recupero e l'efficacia della pedagogia dell'amore.
Per far questo don Bosco dette grande importanza all'oratorio. Volle che i ragazzi non fossero nella strada, bensì sempre controllati non solo nello studio ma anche nel giocare e nel trascorrere il tempo libero. Attenzione: il gioco e lo sport vennero valorizzati da don Bosco non solo come riempimento, ma anche come realizzazione e contributo importante alla crescita. Il gioco, come possibilità di scaricare le proprie energie per evitare, quindi, qualsiasi tipo di "corto circuito" sul piano fisico e mentale; e per evitare che il fanciullo trascorresse nell'ozio i suoi momenti di libertà dallo studio. Ma anche lo sport, come capacità di giocare nell'accettazione delle regole, vere metafore dell'oggettività della vita; ovvero il fatto che l'uomo non può gestire la sua esistenza a proprio piacimento, ma sempre in conformità alle leggi che non può darsi da sé, ma che invece deve oggettivamente riconoscere e rispettare.

LA RISPOSTA ALLA MORALE AUTORITARIA POSTKANTIANA
La pedagogia preventiva di don Bosco muove non solo dalla convinzione dell'esistenza della verità, ma anche dalla convinzione secondo cui tale verità è conoscibile. Essa presuppone che alla base dell'educazione vi sia la possibilità di motivare le regole imposte. Insomma, non si tratta della cosiddetta "morale del pugno sbattuto sul tavolo", devi far questo perché lo devi fare, bensì della morale che, imponendo regole, dà anche la spiegazione delle motivazioni che ne sono alla base.
In questo senso si capisce molto bene come la spiritualità e il pensiero pedagogico di don Bosco costituiscano valide ed evidenti risposte alla mentalità dominante nel XIX secolo. La morale di quel secolo era infatti di tipo autoritario, proprio perché "figlia" della filosofia kantiana. Tale pensiero aveva demolito la metafisica, affermando l'impossibilità di dimostrare l'esistenza di Dio; accorgendosi poi dell'incapacità, in tal modo, di costruire una morale universale. Kant, dunque, dovette recuperare queste verità non più nella prospettiva razionale, bensì in quella volontaristica: anche se Dio non è conoscibile, deve essere ammesso per esigenze morali. Da qui una morale che non poggiasse sull'evidenza della verità, ma solo sull'impulso della volontà; una morale non più basata sulla persuasione, ma solo sull'imperativo categorico.

L'ALLEGRIA
L'esito di questa prospettiva pedagogica fondata sul riconoscimento della verità e di una morale basata sulla persuasione era inevitabilmente un rapportarsi positivo e gioioso nei confronti della vita, atteggiamento questo molto lontano dalla cultura del tempo o da spiritualità seriose e protestantiche. Scrive un famoso biografo di don Bosco, Bonaventura Zarbà D'Assoro: Ecco perché don Bosco vuol bandito ogni sussiego e ogni accigliamento del volto degli educatori salesiani, e ogni piega amara sul labbro dei loro educandi. Egli ispira la sua pedagogia al motto di San Filippo Neri: 'Scrupoli e malinconia, via da casa mia!' che non è altro poi che la traduzione libera del detto paolino: 'Guadete, iterum dico, gaudete!' (...). Dell'allegria don Bosco fece come un precetto del vivere fin dai primi anni, e com'egli aveva vissuta la giovinezza a cielo aperto, così volle che i fanciulli avessero 'ampia libertà di saltare, correre, schiamazzar a piacimento.' La disposizione de' suoi istituti conserva l'impronta di quello stile; niente chiostre e cortili chiusi: aria e luce, nell'anima e fuori.

L'AMORE ALLA CHIESA E AL PAPA E IL SENSO DELLA GIUSTIZIA
La pedagogia di don Bosco, partendo da questi presupposti, si mosse anche nella trasmissione ai fanciulli dell'affidamento alla Chiesa e al suo Capo visibile, nell'amore verso queste realtà. Il Governo Piemontese, infatti, non sopportava le scuole di don Bosco proprio perché in esse gli allievi s'innamoravano della Chiesa e di Pio IX.
La prospettiva di don Bosco, proprio perché basata sul riconoscimento della verità e pur fondandosi sull'amore, non si traduceva in una sorta di relativismo mieloso. Egli era convinto della necessità della missione. Racconta Zarbà D'Assoro: "Una delle ultime volte che don Bosco comparve in mezzo ai suoi, il 7 dicembre 1887, fu per trascinarsi incontro a monsignor Cagliero che tornava a rivederlo ancora e gli conduceva con alcune suore una piccola india battezzata. 'Eccole - gli dissero - o Padre, una primizia che i suoi figli le offrono dagli ultimi confini della terra'. E subito la giovinetta, con accento filiale disse: 'Vi ringrazio, carissimo Padre, di aver mandato i vostri missionari a salvar me ed i miei fratelli! Essi ci hanno resi cristiani e ci hanno aperto le porte del cielo.' Don Bosco pianse. Nella piccola india redenta egli vedeva non solo il primo fiore cristiano delle Pampas, ma anche il pegno delle future conquiste destinate ai suoi figli.

Fonte: I Tre Sentieri, 30 gennaio 2020

DOSSIER "SAN GIOVANNI BOSCO"
Il santo educatore dei giovani

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6 - EDUCARE I BAMBINI IN UN MONDO ALLA ROVESCIA
Il compito educativo spetta ai genitori: non alla scuola, non allo Stato, non agli esperti, ma ai genitori (che devono creare ambienti educativi in sintonia con i principi cristiani)
articolo non firmato

Nella nostra società, nella quale i valori cristiani sono sempre meno condivisi, sta emergendo un problema educativo che non è stato previsto. Come è possibile dare ai figli un'educazione fondata sui valori spirituali, sulla modestia, sulla castità in un mondo nel quale l'imperativo è il godimento, l'imbarbarimento la norma, la bruttezza, la sciatteria e la provocazione dei valori?
Quando il modello adolescenziale (con l'adolescenza protratta oltre i trent'anni) impone il tatuaggio, il piercing in luoghi più o meno visibili, i «party» più strani e trasgressivi, la musica più tribale e triviale, ha senso resistere, opporsi? Non si rischia di far sentire il proprio figlio «strano» una mosca bianca, un disadattato (mai parola indica più chiaramente il ribaltamento valoriale al quale stiamo assistendo)?

PARTIAMO DA ALCUNI PUNTI FERMI
Innanzitutto, il compito educativo spetta ai genitori. Non alla scuola, non allo Stato, non agli esperti: ai genitori. La responsabilità educativa dei figli spetta a loro. Sono quindi loro che devono scegliere il tipo di educazione da impartire ai bambini anche se il modello educativo che scelgono è discordante con (o in opposizione a) quello proposto dalla società.
Secondariamente, il tipo di educazione proposto dalla nostra società è assolutamente deprecabile sotto molti punti di vista. Non so se sia mai esistita una società che intenzionalmente abbia cresciuto i propri bambini nell'ignoranza della metafisica, del fatto che esista qualcosa oltre la materia. L'unico imperativo che la nostra società impone a bambini, ragazzi e ragazze è «Godi!». Questo è ciò che insegna MTV. Questo è ciò che chiedono alcuni padri e madri ai loro figli: divertiti, riempi la tua vita di piaceri di ogni tipo, dimentica le responsabilità, il sacrificio, le conseguenze del tuo godimento perpetuo. Ogni privazione, ogni frustrazione, ogni limite è un'ingiustizia intollerabile che alcune mamme e nonne indignate si impegnano ogni giorno a spazzare dalla strada dei loro figli e nipoti, non solo da bambini, ma anche quando si fanno più grandicelli.
Non è una novità, non è una rivoluzione: è semplicemente l'esito di un processo. Date alcune premesse, le conseguenze saranno necessariamente quelle. Se i genitori propongono ai loro bambini un mondo in due dimensioni è perché essi stessi vivono in un mondo piatto, senza profondità metafisica. Non c'è motivo per cui dovrebbero proporre ai loro figli qualcosa che essi stessi non conoscono. E non conoscono altro perché a loro volta sono stati educati così.
L'Italia del secondo dopoguerra, che noi credevamo cattolica, tradizionalista e valoriale, è stata l'Italia che ha creato questa situazione. L'Italia che al posto dello smartphone aveva come status symbol l'autoradio, che viveva tutto l'anno in funzione della vacanza (non in Egitto, dai nonni in Calabria), l'Italia dei divani incellophanati e del servizio di cristallo di dote perennemente chiuso nella vetrinetta in sala (anch'essa rigorosamente chiusa a chiave). L'Italia in cui l'importante era «la roba», era mangiare bene, avere il figlio dottore. Ecco: i selvaggi che si aggirano per le nostre città, con la biancheria in bella mostra, l'esibizione di una pelle marchiata e borchiata, e un linguaggio che farebbe vergognare il proverbiale scaricatore di porto sono il frutto di almeno due generazioni di educazione senza metafisica, senza l'idea che esistano un bene o un male in sé, e non solo per le conseguenze piacevoli o spiacevoli che hanno per me.

LA CRESCITA PERSONALE COSTA
Terzo: la crescita personale, la vocazione, in termini religiosi, costa. Diventare se stessi, realizzare il progetto che ci è stato affidato alla nascita è faticoso, è duro, non è né piacevole né gratuito. Diventare la persona che dovremmo essere, esprimere la nostra personalità, mettere a frutto i nostri talenti implica la solitudine, il pagamento di un prezzo, l'incomprensione o addirittura lo scherno. Essere veramente liberi, essere coerenti con i propri valori, puntare alla realizzazione della propria vocazione esige che ci si senta un «disadattato», una mosca bianca. Tanto più in una società come la nostra, nella quale il conformismo è dittatoriale, e l'espressione di sé non significa esprimere la propria personalità quanto la mancanza di essa.
Bisogna però considerare una cosa importante, almeno dal punto di vista clinico (lo scrivente è, appunto, uno psicologo clinico). Durante la crescita abbiamo bisogno di essere rassicurati, di sapere che «andiamo bene», che siamo adeguati. Questo è un bisogno fondamentale che, se soddisfatto, costituisce la premessa per la costruzione di quella vera personalità, conforme al proprio progetto, di cui dicevamo sopra. La nostra adeguatezza deve però trovare conforto nel mondo dei pari. Non ci sentiamo adeguati confrontandoci con chi è completamente diverso da noi (con gli adulti, nel nostro caso), ma con chi è - o dovrebbe essere - simile a noi: il gruppo dei pari. Per questo gli amici sono così importanti per gli adolescenti: sono i coetanei che possono fare da specchio, non più i genitori. Sentirsi adeguati per gli adulti (genitori, nonni...) ma non per i coetanei non dà quella sicurezza della quale i ragazzi hanno bisogno (a meno di trovarci di fronte a ragazzi particolarmente strutturati, forti e sicuri; cosa sempre più rara anche tra gli adulti, al giorno d'oggi).

DILEMMA INSOLUBILE?
Siamo dunque di fronte ad un dilemma insolubile? Veleggiamo tra Scilla (la massificazione edonistica) e Cariddi (il disadattamento)? Una soluzione, forse di difficile applicazione, c'è. Si tratterebbe di costruire attorno ai nostri ragazzi un ambiente di coetanei educati in modo cristiano, metafisico, valoriale; in questo modo la loro domanda di adeguatezza sarebbe soddisfatta, e crescerebbero con punti di riferimento diversi da quelli - deprecabili - proposti dalla nostra società.
Gli oratori si svuotano, gli scout si uniformano al modello sociale, il mondo dello sport veicola messaggi ambigui sul gender e sulla sessualità? Forse è giunto il momento che i genitori si attrezzino per creare ambienti educativi in sintonia con i loro valori. Lo stanno facendo per la scuola: stanno sorgendo sempre più e sempre più belle scuole parentali; perché non creare degli ambienti educativi e ricreativi con gli stessi criteri? Non è facile, ma forse è più facile che istituire una scuola...
Un'ultima riflessione. Tutto questo ci fa capire quanto sia importante, per la salvezza delle persone,una società a misura d'uomo, che permetta o favorisca il raggiungimento dei propri obiettivi vocazionali. Per questo motivo la Chiesa ha una Dottrina Sociale: perché non siamo isole. Se vogliamo che i nostri figli abbiamo meno difficoltà nella nostra società, torniamo ad occuparci della società. Torniamo ad essere il sale della terra, e la lucerna nel lucernaio.

Roberto Marchesini
Fonte: Notizie Provita, settembre 2016


7 - TROPPA SCUOLA FA MALE
Il mito del ''tempo pieno'' lavora contro la famiglia: oggi i nostri bambini trascorrono a scuola più tempo di quello che noi genitori trascorriamo in ufficio
articolo non firmato

Si, avete letto bene: troppa scuola può far male ai nostri ragazzi, ed è pura illusione pensare che più ore trascorse dentro l'edificio scolastico siano sempre un bene. Non è così e, in un certo senso, non è mai stato così nemmeno in passato.

PRIMI IN EUROPA
Ma andiamo con ordine e partiamo dai fatti. Oggi l'Italia si ritrova in testa a una classifica molto particolare: le scuole Primarie del Bel Paese - quelle che i comuni mortali e le persone di buon senso continuano a chiamare "elementari" - impegnano i bambini in una maratona di 980 ore per anno scolastico. è il dato più alto di tutta Europa. In Germania - dove la gente è notoriamente tutt'altro che pigra e men che meno ignorante - i kinder stanno in classe 698 ore. Qualche cosa come 300 ore in meno dei coscritti italiani, circa 60 giorni di differenza. La media europea per le scuole Primarie è di 755 ore all'anno, nettamente al di sotto della prassi italica. L'unico Paese con un monteore molto simile al nostro è la Francia (958), ma è notizia di queste settimane - invero clamorosa - che oltralpe si prepara una controrivoluzione dell'orario: il governo Sarkozy ha deciso di ridurre i giorni di scuola da 5 a 4, lasciando i fanciulli a casa il mercoledì, oltre che il sabato. Fra l'altro, è curioso notare che la "vacanza centrale" fu inventata proprio in Francia da Jules Ferry (1832-1893), il padre dell'insegnamento pubblico e gratuito, che volle la chiusura delle scuole il giovedì con lo scopo di "permettere ai genitori di dare ai figli un'istruzione religiosa fuori dagli edifici scolastici". Insomma: un curioso "giorno del catechismo" che nasceva dal giacobinismo francese, ma che alla fine conteneva anche aspetti positivi per la Chiesa e i cattolici.

IL CASO ITALIANO
Intendiamoci: non è detto che l'Europa sia sempre un modello, e nessuno ci obbliga ad allinearci con le abitudini del vecchio continente, che spesso sono lontane anni luce dal buon senso e dalla tradizione cristiana. Ma, in questo caso, è l'Italia a essere in errore. E a pagare un prezzo altissimo al peso enorme che la cultura marxista ha giocato - e continua a giocare - nella nostra società. [...]

TUTTO NELLA SCUOLA, NIENTE AL DI FUORI DELLA SCUOLA
Il tutto avviene sotto l'abile regia del Partito comunista italiano e nella sostanziale indifferenza del partito dei cattolici, la Democrazia cristiana. Anzi, il modello pedagogico marxista viene progressivamente assunto come valido anche in larghe fette del mondo cattolico. I "miti" della scuola progressista conquistano il cuore e la mente di politici, intellettuali, presidi di formazione cattolica. E fra questi miti, su tutti trionfa il "tempo pieno". Esso si fonda sull'idea - di impronta tipicamente hegeliana - che l'intera crescita umana e culturale del bambino debba essere guidata e gestita dallo Stato attraverso la scuola, e che il resto - a cominciare dalla famiglia - abbia un ruolo residuale, accidentale, sostanzialmente inadeguato, insufficiente. Come disse il filosofo Umberto Galimberti, columnist di Repubblica, «i genitori non sono in grado di educare i propri figli». È il capovolgimento della dottrina cattolica della "sussidiarietà", in base alla quale l'uomo, la famiglia e la società debbono essere liberi dì fare da sé tutto ciò che è buono e lecito, lasciando allo Stato il compito di intervenire solo dove il cittadino non ce la fa da solo. In questa visione la scuola non è il fulcro della crescila del bambino, ma un supporto al padre e alla madre, che non possono delegare. Per ragioni evidenti, il pensiero comunista e, in seguito, progressista e liberal-radicale, ha attaccato frontalmente questa idea, per strappare alla famiglia il timone dell'educazione dei figli. Non è un caso che la pur discutibile "Riforma Moratti" avesse introdotto la "straordinarietà" della scuola al pomeriggio, e che invece l'attuale Governo di sinistra abbia reintrodotto trionfalmente il "tempo pieno".

PIÙ SCUOLA, MENO FAMIGLIA: IN FUGA DALLA FEDE
In questo processo di tragica spoliazione, la cultura di sinistra è stata supportata da fette importanti del mondo cattolico, che ha creduto di aiutare la famiglia e soprattutto le fasce meno abbienti della società con un sistema scolastico ispirato all'idea del "parcheggio prolungato": più tempo i figli stanno in classe, e meno sono esposti ai pericoli del mondo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: i famosi "pencoli" - che prima attendevano i nostri figli per le strade, come la droga o la devianza o il bullismo - adesso sono entrati trionfalmente nella scuola, che non sa come (e talvolta nemmeno vuole) reagire. Parole come ordine e disciplina, concetti come fede e pudore, sono stati defenestrati dai contenuti educativi, per essere rimpiazzati dall'ambientalismo e dal pacifismo. Un tempo il bambino imparava dal maestro laico dello Stato sabaudo il valore del sacrificio e il saluto alla bandiera del re; oggi il pupo si erudisce sulla raccolta differenziata e si inchina davanti alla bandiera arcobaleno. Non solo: imbottendo le liste dei docenti di Stato di uomini e donne di sinistra - oggi traghettati sulle sponde di uno squallido nichilismo gaio pansessualista - si è giunti a capovolgere la positività originaria del tempo trascorso in aula. Per cui oggi - salvo lodevoli eccezioni - più tempo il figlio trascorre in aula, più ideologia conformista assorbe. Meno resta in famiglia, meno educazione riceve, meno è introdotto in un cammino di fede cattolica.

UNA SCUOLA A MISURA DI ADULTO
A dar manforte all'idea totalizzante di scuola ha contribuito il modello di sviluppo capitalistico, esploso in Italia con il boom economico degli anni Sessanta. Occorreva spingere le donne fuori dalla casa, e convincerle non solo della legittima opportunità, ma addirittura della doverosa necessità di lavorare in fabbrica o in ufficio, abbandonando le tradizionali incombenze femminili, soprattutto educative e assistenziali. Questa strada ha prodotto spesso nelle madri lavoratrici dolorose lacerazioni - in realtà il lavoro va ad aggiungersi agli impegni domestici - e ha incentivato ancor di più l'idea di una scuola per tutto il giorno, tutti i giorni. Affiancata dal mito che "più asili nido aiutano la famiglia", cavalcato ancora una volta dai governi progressisti, con il beneplacito di cattolici un po' ingenui. Il risultato è che oggi noi abbiamo a che fare con modelli scolastici che non sono pensati per il bene dei nostri figli, ma - riconosciamolo - per i comodi degli adulti: da un lato, l'interesse della corporazione sindacale degli insegnanti, che ottenne ad esempio l'assurda riforma dei tre maestri per classe, al solo scopo di salvare posti di lavoro; dall'altro, i bisogni dei genitori, effettivamente costretti non di rado a lavorare entrambi. Certo, uscire da questa situazione non è facile. Ma, almeno, riconosciamo qual è il vero bene per i nostri bambini. Che cosa c'entra tutto questo discorso con l'apologetica e con la fede cattolica? Beh, un giorno fu proprio Gesù a dire: «Lasciate che i bambini vengano a me». Se la scuola li allontana sempre più dal Maestro buono e dai genitori, c'è davvero qualche cosa che non funziona.

Mario Palmaro
Fonte: Il Timone, novembre 2007


8 - I COMPITI A CASA FANNO PIU' DANNI CHE BENEFICI
La Finlandia, al top delle classifiche sull'educazione, ha abolito i compiti, mentre in Italia la situazione è disastrosa anche (ma non solo) per lo stress dei compiti
articolo non firmato

La lettera del padre agli insegnanti che spiega perché suo figlio non ha fatto i compiti delle vacanze. Le interviste a maestri che non assegnano compiti a casa. Una scuola media che vince il premio simbolico del "Festival dei compiti assurdi" e, leggendo i contenuti, si intuisce il perché. Le ultime statistiche mondiali sull'efficacia del lavoro svolto a casa dagli studenti. Il tema - complesso - ritorna oramai a ogni inizio e fine di anno scolastico. Ne abbiamo parlato con Maurizio Parodi, 60 anni, dirigente scolastico da 30, padre di un figlio che va in prima superiore. Ha indetto il Festival sopracitato, ma soprattutto è l'autore di un libro che sta girando da anni nelle mani di migliaia di persone in tutta Italia, dal titolo inequivocabile: "Basta compiti. Non è così che si impara" Il messaggio, che Parodi spiega a fondo nelle righe qui sotto e che porta negli incontri a cui viene invitato lungo Italia, entra di petto in un tema sul quale, come spesso accade su argomenti che dividono la società, si levano gli scudi pro o contro. "Ho iniziato 15 anni fa, con un articolo su una rivista specializzata, L'Educatore, a parlare della necessità di non dare più i compiti a casa. Prima con toni blandi, poi alzando la voce, perché altrimenti non venivo ascoltato". [...]
Perché, secondo lei, non serve dare compiti a casa?
Stiamo parlando di un problema grave che ci coinvolge tutti: docenti, studenti, genitori. Lo studio domestico è inutile, perché le nozioni che sono memorizzate per l'interrogazione del giorno successivo, dopo un breve periodo di tempo vengono dimenticate, perché si attiva solo la memoria a breve termine: non c'è apprendimento; si tratta di un sapere usa e getta. Poi è discriminante, avvantaggia chi è già avvantaggiato, dalla presenza di una figura che lo segua nel pomeriggio - molti genitori lavorano entrambi e quindi sono penalizzati - o dalla maggiore capacità già acquisita: chi fa più difficoltà in classe di certo non recupera a casa, soprattutto se non può avvalersi dell'aiuto di genitori culturalmente, affettivamente o economicamente attrezzati, anzi il gap, rispetto ai compagni "più bravi" aumenta: il giorno dopo i compiti chi è svantaggiato lo è ancora di più. E spesso nemmeno i genitori più presenti e istruiti possono essere d'aiuto, è accaduto anche a me nonostante sia un dirigente scolastico.
Ci racconti...
Un esempio eclatante, mio figlio era in seconda media, e doveva studiare i complementi, mi ha chiesto un chiarimento e così ho scoperto che rispetto a quando me ne occupavo, come docente, sono proliferati a dismisura: decine e decine... Nemmeno io li conosco tutti, in quell'occasione la mia presenza è stata inutile. Di fronte a compiti difficili, incomprensibili (ma anche insensati) cresce poi l'avversione dello studente verso la scuola, soprattutto se ha già difficoltà: pensa di essere inabile allo studio, e la scuola fallisce il proprio compito educativo; come dimostrano i dati Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) sull'Italia.
Come è situata l'Italia nelle classifiche internazionali sull'apprendimento?
Male. Malissimo. Il dato paradossale riguarda, appunto, i compiti: a fronte di una mole doppia, tripla e in certi casi quadrupla di compiti assegnati, rispetto ai coetanei non solo europei, il tasso di analfabetismo funzionale rimane uno dei più alti d'Europa. Si tratta dell'incapacità di usare in modo efficiente abilità elementari di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni di vita quotidiana. Sempre secondo le ricerche Ocse, eccelliamo, purtroppo, nell'abbandono scolastico e per l'incapacità di compensare le diseguaglianze (meglio di noi anche Bulgaria, Romania, Ungheria). In altre parole, la scuola italiana non funziona più come ascensore sociale, al contrario è diventata un moltiplicare di diseguaglianza, accentuandone il carattere censitario; come nella metafora di don Milani che paragonava la scuola a un ospedale al contrario: cura i sani e respinge i malati. Il timore, suffragato anche dall'aumento delle "diagnosi", sempre più precoci, è che addirittura si corra il rischio di far ammalare i sani. Un ulteriore dato dell'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) evidenzia come gli studenti italiani siano tra i più stressati, i più insofferenti rispetto allo studio. Lo dimostrano comportamenti inquietanti come il terrore di ammalarsi dovendo poi recuperare i compiti non fatti, che si aggiungono ai compiti da fare al rientro.
Il ruolo dei genitori non può aiutare nell'alleviare lo stress dei figli?
Certo, ma resta l'assurdo di una situazione che impone ai genitori di "contenere il danno scolastico", sempre che i genitori ci siano e siano in grado.
In particolare, la moltiplicazione degli insegnanti (e quindi degli insegnamenti) nella scuola primaria ha determinato effetti drammatici. Già dai primi anni di scuola, i docenti operano nella reciproca ignoranza; ciascuno assegna i compiti come se fossero i soli da svolgere (nemmeno di parlano tra loro) con il risultato di un carico complessivo soverchiante. I compiti sono talmente tanti (e comunque ogni studente ha propri ritmi) che i genitori, non solo sono costretti a sostituirsi ai docenti nel "compito" più importante, quello di insegnare un "metodo di studio", talvolta devono sostituirsi persino ai figli: i compiti li fanno loro, perché si ritrovano alle 10, 11 di sera con bambini o ragazzi esausti e terrorizzati all'idea di andare a scuola senza averli fatti, perché scatterà la punizione, come la ricreazione saltata, o altre forme di mortificazione. Si danno i compiti persino in molte scuole a tempo pieno, a bambini di 6-11 anni, dopo 8 ore di forzata immobilità: compiti tutti i giorni e naturalmente nel week end.
La sua battaglia ha prodotto risultati tangibili?
Ho iniziato 15 anni fa, e ancora oggi porto argomentazioni logiche a sostegno delle mie tesi, come quelle appena accennate, riconducibili al decalogo della petizione online, che sfido chiunque a confutare. Ho scritto varie volte al ministro della pubblica istruzione, ma senza avere risposta.
Credo stia gradualmente maturando una diffusa consapevolezza circa la gravità del problema: oltre alle nostre proposte, al mio lavoro di sensibilizzazione, si registrano iniziative di singoli genitori, di docenti e dirigenti (anche di un sindaco sardo) e una crescente attenzione dei media.
Ma si tratta di un processo lentissimo, ed è sconfortante, tanto più se si considera un altro clamoroso dato oggettivo e ben descritto dal breve documentario che ha realizzato il regista statunitense Michael Moore. Quando si è recato in Finlandia per chiedere al ministro dell'Istruzione come sia stato possibile che la scuola finlandese sia diventata la migliore del mondo - visto che qualche decennio fa era in fondo alle classifiche come quella degli Usa - la prima risposta del ministro è stata: "Abbiamo eliminato i compiti a casa". Le scuola migliori del mondo non danno compiti o ne danno pochissimi, noi siamo la peggiore, dopo Grecia e Portogallo. Non riusciamo a compiere una rivoluzione (di immediata fattibilità e a costo zero) a cui altri sono arrivati da tempo. Fenomeni sempre più diffusi di fuga dalla scuola, come quello dell'homeschooling, sono causati anche dal tormento insensato dei compiti a casa.
Ma non basterebbe semplicemente diminuire i compiti?
È quel che dicono quasi tutti i docenti[...]: "I compiti sono necessari, ma non bisogna darne troppi". Nessuno ha mai dimostrato che i compiti siano necessari, infatti ci sono insegnanti che non ne assegnano, gli studenti dei quali hanno percorsi scolastici assolutamente "regolari", e, come detto, prosperano scuole di eccellenza che li hanno eliminati. Il punto è proprio questo: se sono utili, necessari, si diano; se sono inutili, addirittura dannosi si evitino: primum non nocere. Non è neppure possibile stabilire una misura, l'impegno è diverso per ogni alunno, ovvero uno può completare un argomento in mezz'ora, un altro in due ore perché magari ha maggiori difficoltà di apprendimento, altri non riuscire per nulla...
Come uscire da questo apparente vicolo cieco, in un'ottica condivisa tra docenti e famiglie ovvero senza posizioni che si fermino sono al "sì" o "no" compiti ma che entrino nel merito del problema?
Sarebbero da ripensare tutti i paradigmi su cui si basa l'apprendimento scolastico. L'unico aspetto che finora ho trovato efficace, ovvero che nel tempo ha dato i suoi frutti in termini di ragionamento pacato e condiviso, è quello di "restituire" ai docenti le testimonianze dei genitori: ci sono centinaia di casi in cui i compiti a casa sono sinonimo di sofferenza familiare, nonché motivo scatenante di gravi conflitti che si protraggono nel tempo, dove il padre o la madre diventano una sorta di carceriere e lo studente una persona che vive sotto minaccia. Leggere queste storie di vita può forse favorire la comprensione dei docenti.

Daniele Biella
Fonte: Vita, 15/09/2016

MAURIZIO PARODI SU RAI TRE

video con l'intervento di Maurizio Parodi su Rai3 alla trasmissione GEO del 28 settembre 2016 della durata di otto minuti in cui si spiega perché i compiti a casa non solo non migliorano, ma peggiorano il rendimento scolastico.


https://www.youtube.com/watch?v=x0_skcHwyW8


ULTERIORI APPROFONDIMENTI


I COMPITI A CASA PER I BAMBINI SONO INUTILI
Le ricerche confermano che i compiti a casa non migliorano la resa degli studenti, anzi sviluppano l'avversità per la scuola
di Heather Shumaker
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4412

I COMPITI A CASA SONO INUTILI?
Vedo insegnanti assegnare fiumi di compiti per il pomeriggio e dare piccole biblioteche da leggere durante le vacanze estive
di Giano Colli
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4431


9 - ISTRUZIONI PER APRIRE UNA SCUOLA PARENTALE
Una scuola parentale può nascere quando famiglie amiche si mettono d'accordo per creare un ambiente educativo comunitario per i loro figli (queste ''regole'' valgono anche per chi intende fare homeschooling)
articolo non firmato

Andare a scuola non è obbligatorio. Secondo gli artt. 30, 33 e 34 della Costituzione è obbligatorio istruire ed educare i propri figli. Questo può avvenire anche tenendoli a casa dalla scuola tradizionale. Fondamentale per crescere bene sono la socializzazione con i propri simili e il contatto con il mondo esterno allo stretto nucleo familiare.
Per questo più che la proposta classica dell'homeschooling, cioè educare e istruire i propri figli senza mandarli a scuola, si desidera fornire nel presente Focus, una "guida" semplice e concreta per aprire una «scuola parentale» in cui più famiglie si mettono d'accordo per creare un ambiente educativo e di apprendimento comunitario per i loro figli e anche per i figli di quei genitori che si riconoscono nel progetto educativo (e che per esempio, per problemi lavorativi, non possono provvedervi direttamente). Le "regole" per la scuola parentale o familiare valgono comunque anche per chi intende fare vero e proprio homeschooling o, come qualcuno preferisce dire, unschooling. [...]

COS'È LA SCUOLA PARENTALE?
La scuola parentale nasce quando alcuni genitori che condividono un pensiero educativo sui propri figli si confrontano, si mettono insieme, si organizzano e decidono di provvedere loro stessi come comunità educante all'educazione e all'istruzione dei figli.

CHI PUÒ APRIRLA?
I genitori sono i primi e insostituibili educatori dei loro figli: nella scuola parentale si tengono stretto questo diritto. Sono pertanto i genitori che si accordano tra loro, fissano gli obiettivi educativi prioritari, le finalità, gli strumenti e le metodologie da utilizzare. Per avviare una scuola parentale e sufficiente che ci siano alcuni bambini e un insegnante, che può essere anche un genitore, aiutato dalle diverse professionalità degli altri genitori. É bene che chi si fa carico della responsabilità del progetto didattico e/o che direttamente insegnerà ai bambini, abbia una formazione pedagogica e culturale adeguata.

È NECESSARIA UNA FORMA ASSOCIATIVA?
Quando le persone si mettono insieme per uno scopo e per svolgere un'attività, di solito si organizzano in una qualche forma associativa sia essa una associazione riconosciuta, con personalità giuridica, oppure non riconosciuta, senza personalità giuridica.
l genitori, anche a seconda dell'entità e del numero degli alunni della scuola parentale, si possono organizzare in Società cooperativa sociale, senza scopo di lucro, oppure come Associazione di promozione sociale o anche semplicemente come Associazione o comitato di genitori. È importante scegliere la forma più idonea allo scopo, all'organizzazione e al servizio che si intende erogare e che tuteli maggiormente i soggetti coinvolti.

COME ASSICURARE L'ASSOLVIMENTO DELL'OBBLIGO SCOLASTICO?
Lo Stato deve giustamente garantire che ogni bambino, in età scolare dai 6 ai 16 anni, venga educato ed istruito e non sfruttato, per esempio, nel lavoro minorile o abbandonato in diverse forme di incuria, anche solo culturale.
Lo Stato, tramite il Dirigente scolastico della scuola o dell'istituto comprensivo che l'alunno dovrebbe frequentare, ha l'obbligo di controllare e di verificare che venga assolto il diritto-dovere all'istruzione del minore e lo fa principalmente attraverso tre canali: accoglimento della comunicazione della famiglia di istruzione parentale che deve essere depositata ogni anno; esame annuale di idoneità alla classe successiva (o nel caso della terza classe della scuola secondaria di primo grado, con l'esame di Licenza); la consegna alla scuola di competenza dell'attestato di idoneità alla classe successiva o dell'avvenuto esame di licenza media, se l'esame di fine anno viene sostenuto presso una scuola differente da quella di competenza.

LA COMUNICAZIONE D'ISTRUZIONE PARENTALE DELLA FAMIGLIA AL DIRIGENTE SCOLASTICO: TEMPI E MODALITÀ
La comunicazione che i genitori intendono provvedere direttamente all'istruzione dei loro figli, magari facendosi aiutare da professionisti (soprattutto se i genitori non hanno un titolo scolastico di secondo grado) oppure appoggiandosi ad un'associazione (di cui sopra), deve avvenire entro la data di chiusura delle iscrizioni. Questo termine è specificato ogni anno da un'apposita circolare del MIUR sulle iscrizioni per l'anno scolastico successivo; generalmente va consegnata dai primi di gennaio fino alla fine di gennaio/primi giorni di febbraio. Può essere consegnata anche nei mesi successivi o in corso d'anno scolastico, ma l'alunno alla chiusura delle iscrizioni, se non è già stata depositata la comunicazione di istruzione parentale, deve essere iscritto ad una scuola statale o paritaria. La comunicazione deve essere firmata da entrambi i genitori che devono dichiarare di avere i mezzi tecnici, economici e culturali per istruire personalmente i propri figli. Invece, per quanto riguarda l'iscrizione alla scuola parentale, ogni associazione di genitori decide liberamente come regolare l'accesso e le forme d'iscrizione.

L'ESAME ANNUALE D'IDONEITÀ ALLA CLASSE SUCCESSIVA O ALL'ESAME DI LICENZA È OBBLIGATORIO?
L'esame annuale è obbligatorio dal 2008 e può essere sostenuto presso una scuola statale o paritaria del territorio. Solitamente viene sostenuto dagli alunni al termine delle lezioni presso la scuola scelta dai genitori e che ha accolto la domanda d'esame. Tale domanda deve essere consegnata entro il 30 aprile per gli esami di idoneità, mentre per l'esame di Licenza, dallo scorso anno scolastico, bisogna presentarla almeno entro la fine di marzo per poter sostenere le prove INVALSI.

IN COSA CONSISTE L'ESAME?
Gli esami di idoneità alla classe successiva prevedono per la scuola primaria:
- due prove scritte: italiano e matematica, a cui si può aggiungere anche una prova di seconda lingua, solitamente inglese;
- colloquio pluridisciplinare su tutte le altre discipline.
Gli esami di idoneità alla classe successiva prevedono per la scuola secondaria di primo grado:
- tre prove scritte: italiano, matematica, inglese: a quest'ultima prova si può aggiungere una parte dedicata della seconda lingua comunitaria, se prevista nel piano di studi;
- colloquio pluridisciplinare su tutte le altre discipline (si tenga presente che sono oggetto di esame anche le discipline come tecnologia, arte e immagine, scienze motorie e sportive e musica).
L'esame di Licenza (classe terza) ha le stesse prove, per numero e tipologia, della scuola statale (che sono fondamentalmente le stesse previste per gli esami di idoneità per la scuola secondaria di primo grado). Dall'anno scolastico 2018-2019 gli alunni che si avvalgono dell'istruzione parentale devono sostenere, entro la metà/fine di aprile, anche le prove INVALSI (italiano, matematica e inglese) presso la scuola in cui sosterranno l'esame di Licenza.

QUALI PROGRAMMI SVOLGERE E PRESENTARE PER GLI ESAMI DI IDONEITÀ E DI LICENZA?
Alla consegna della domanda di esame devono essere solitamente allegati i programmi svolti in tutte le discipline, sulle quali i figli saranno esaminati. È evidente che per comodità, e anche per ragionevolezza, solitamente si segue la scansione dei programmi proposti dal MIUR, svolti anche presso le scuole statali e paritarie, con la libertà di preferire ed approfondire alcune parti e di tralasciarne delle altre.
La grandissima libertà però della scuola parentale consiste nelle metodologie didattiche ed esperienziali, nell'apprendimento informale, attraverso cui i bambini conoscono, imparano e si appassionano al sapere.
I programmi possono essere presentati elencando soltanto i contenuti svolti, oppure completandoli con le competenze e le abilità che l'apprendimento ha sviluppato e potenziato.

RESTITUZIONE DELLA DOCUMENTAZIONE PER IL CONTROLLO DELL'ASSOLVIMENTO DELL'OBBLIGO SCOLASTICO
La scuola statale o paritaria presso cui si svolgono gli esami, rilascia l'attestato di idoneità/non idoneità alla classe successiva oppure di promozione/non promozione per l'esame di licenza: in quest'ultimo caso deve essere attribuito anche un unico voto espresso in decimi. Viene rilasciato anche il certificato dei livelli raggiunti nelle prove INVALSI.
L'attestato di idoneità o di promozione dell'esame di Licenza deve essere consegnato alla scuola di competenza (o di stradario) per certificare l'avvenuto superamento dell'anno scolastico in corso.

FORNITURA DEI LIBRI DI TESTO
Anche per gli alunni che si avvalgono dell'istruzione parentale primaria, il comune di residenza fornisce gratuitamente i libri di testo ai genitori che ne fanno richiesta tramite la cedola Libraria. Per la secondaria, analogamente alla scuola statale, sono i genitori a sostenere eventuali spese per i libri di testo, peraltro non obbligatori nella scuola parentale e sostituibili da altri testi narrativi o scientifici adatti. [...]

QUALI SPAZI UTILIZZARE?
Posto che l'homeschooling può essere fatta nel salotto e nel giardino di casa, è bene, se si tratta di gruppi più numerosi di bambini che si trovano ogni giorno con un orario, una certa regolarità d'incontri/lezioni tenuti da genitori ed insegnanti, creare spazi idonei. [...]

QUALI INSEGNANTI NELLE SCUOLE PARENTALI?
Gli insegnanti e gli educatori possono essere i genitori stessi o professionisti ai quali i genitori chiedono di intervenire su specifici progetti o discipline: insegnare con passione e professionalità non è tanto o soltanto questione di titoli, ma molto più di capacità comunicativa, empatica e didattica.
Se un gruppo di famiglie si accorda per creare una "scuola familiare" per i propri figli è assolutamente necessario che i professionisti che vengono coinvolti abbraccino in pieno il progetto educativo e didattico che ha mosso i genitori a questa scelta. Quando si sceglie come genitori di delegare l'istruzione familiare a terzi non può venire meno, pena l'inefficacia e inutilità della scelta, il coinvolgimento personale affettivo, di tempo e di professionalità nel seguire i figli, nell'intervenire nelle questioni e nelle attività scolastiche, così come nei laboratori e nelle uscite. l bambini ritengono importante ciò a cui i genitori danno importanza, ciò a cui i genitori dedicano tempo ed energie: se mamma e papà si lasciano coinvolgere nella loro avventura educativa e scolastica, per loro questa diventa importante, se si lasciano coinvolgere tanto, per loro diventa molto importante e l'imparare appassionante perché si carica di un vissuto emotivo ed affettivo personale positivo.

COME SOSTENERE LE SPESE?
L'istruzione parentale o familiare non riceve alcun contributo dallo Stato o dalle regioni: è tutta a carico dei genitori. Se un gruppo di genitori si organizza in una qualche forma associativa per sostenere l'istruzione parentale dei propri figli, sarà l'associazione stessa a stabilire quali spese si devono sostenere: affitto dei locali, assicurazione, retribuzione degli insegnanti o dei professionisti, arredi, e di conseguenza a fissare un contributo che le famiglie devono versare per sostenere le spese. Le modalità di versamento e di partecipazione alle spese saranno decise anche in base alla tipologia di associazione scelta e a norma di legge.

È FACILE O DIFFICILE APRIRE E SOSTENERE UNA SCUOLA PARENTALE?
Educare è sempre difficile perché è l'incontro di più libertà, è difficile soprattutto se non si ha in mente un'idea di uomo (antropologia) verso cui educare e da cui far discendere una pedagogia e una didattica, coerenti con l'idea di uomo che si desidera formare, "far uscire". Educare oggi è forse ancora più difficile di un tempo perché spesso non si ha una comunità di riferimento, una comunità fatta di famiglie che condividano un'antropologia, una pedagogia e una didattica, che condividano fatiche e gioie, successi e problematiche, che sia luogo di confronto e di sostegno, di conforto e di esempio. Spesso si è soli in questo compito oggi più che mai urgente. Come recita un antico proverbio africano, citato recentemente anche da papa Francesco: «per fare un bambino bastano un uomo e una donna ma per educarlo ci vuole un villaggio intero». La scuola paterna o familiare può diventare questo "villaggio", a patto che ci sia o si crei una comunità di base solida, fondata sulla condivisione di ideali e di vita vissuta.

Maria Bonaretti
Fonte: Bollettino di Dottrina Sociale, gennaio-marzo 2019


COME FARE HOMESCHOOLING O SCUOLE PARENTALI

Incontro annuale a Staggia Senese per genitori interessati all'homeschooling o alle scuole parentali (con possibilità di fare domande a Don Stefano Bimbi).
Ogni anno viene organizzato un incontro di presentazione della scuola parentale presso i locali della Parrocchia di Staggia Senese. Se vuoi sapere quando ci sarà il prossimo, clicca qui!


10 - CATTIVI MAESTRI (1): MONTESSORI
Maria Montessori nega il principio di autorità e il peccato originale e quindi basa il suo metodo educativo sulla spontaneità (il successo è dovuto al fatto che si adatta perfettamente a pacifismo, ambientalismo, gender, ecc.)
articolo non firmato

Nel 1910 aprì una Casa dei Bambini nel convento delle Francescane Missionarie di Maria, a Roma, entrando in sintonia con la superiora generale, madre Marie de la Rédemption. Qualche anno dopo, nel 1916, partecipando la notte di Natale alla Messa nella chiesa di Nostra Signora del Rosario di Pompei, a Barcellona, dove in quel periodo viveva, si commosse fino alle lacrime nell'ascolto di un canto natalizio. Questi due episodi, presenti nelle biografie di Maria Montessori (1870-1952), rimangono isolati.
Pur nata e cresciuta in una famiglia di credenti - i genitori erano cattolici liberali vicini agli ideali risorgimentali - il rapporto con il cristianesimo della celebre pedagogista fu in realtà occasionale e superficiale, mai si approfondì traducendosi in esperienza vissuta e non influì affatto sulla sua visione del mondo e sulle sue scelte, semmai condizionate da altri riferimenti ideologici e culturali, come il positivismo e la teosofia. Riconosceva sì l'importanza della dimensione spirituale nel processo di crescita dei più piccoli, ma per lei la divinità aveva caratteristiche cosmiche, pagane, nulla a che vedere con il Dio incarnato in Gesù Cristo e vivente nella Chiesa.
Peraltro, quel momento di commozione in una notte di Natale era forse solo la nostalgia di un'infanzia lontana, mentre la collaborazione con le Francescane romane non nasceva tanto da un'identica preoccupazione educativa quanto dal fatto che quelle religiose assistevano i bimbi rimasti orfani dopo il devastante terremoto di Messina del 1908: un'iniziativa umanitaria in cui la Montessori, attenta ai drammi sociali del suo tempo, si riconosceva. Per giunta, la citata superiora generale delle Francescane era vicina al modernismo, che in quegli anni minava la dottrina e i fondamenti della fede.

NEGAZIONE DEL PECCATO ORIGINALE
La stessa Maria Montessori subì l'influsso delle tesi moderniste allora in voga. Infatti manifestò apertamente la sua avversione all'idea di peccato originale. Come tanti intellettuali di ieri e di oggi, magari preparati e intelligenti ma presuntuosi, pure lei si sentì in dovere di dare lezioni al plurisecolare Magistero ecclesiale: così la nozione di peccato originale era a suo avviso incompatibile con la "purezza" che vedeva nei bambini. E neppure accettava che nel percorso educativo di un fanciullo esistesse un'autorità, che premia e punisce, identificandola a torto come espressione del potere di turno: dei genitori, dei docenti, dello Stato. Il bambino, con l'aiuto di opportuni e originali strumenti didattici da lei stessa inventati, va invece accompagnato a individuare in se stesso le qualità e le risorse che possiede, per farle emergere. L'insegnante resta nell'ombra, è solo uno strumento, un mezzo nel cammino alla scoperta di sé. Niente maestri di vita da seguire, niente contenuti di valore con cui confrontarsi. L'educazione non è più un incontro, né un rischio, ma un meccanismo da applicare sia pure in modo elastico, adattandosi alle caratteristiche di ciascun allievo: al più viene esaltata la creatività, senza alcun legame organico con la realtà tutta, senza la ricerca di un senso, di un significato da dare alle cose. Ovviamente il metodo Montessori non prevede alcuna "comunità educante", che unisca nel medesimo obiettivo scuola, famiglie e istituzioni, perché ciò che conta è puntare i riflettori sui singoli individui e potenziarli, quasi fossero prodotti da laboratorio. Siamo lontani anni luce dal capolavoro educativo di Don Bosco, il sistema preventivo basato su ragione, religione e amorevolezza, che punta ancor oggi a formare buoni cittadini e non dei geni senza un vero legame con il contesto sociale, creature di Dio e non individui privi di radici.
Maria Montessori è stata accusata di vicinanza al fascismo e di aver cercato l'appoggio di Mussolini, che in effetti inizialmente sostenne le sue scuole, tentando di condizionarle per farne uno strumento di propaganda del regime. Il tentativo fallì, e "la donna che rivoluzionò per sempre il mondo dell'educazione" fu costretta a lasciare l'Italia, dove tornò solo nel dopoguerra, pochi anni prima della morte, dopo aver girato mezzo mondo per far conoscere le sue idee e creare un movimento che le diffondesse. Innegabile il successo di questi tour da un Paese all'altro. E proprio in questi viaggi ebbe incontri importanti, come con il Mahatma Gandhi, che arricchirono il suo bagaglio ideologico, rendendolo ancor più complesso ed eterogeneo.

PACIFISMO, AMBIENTALISMO, GENDERISMO
Si può affermare che le sue intuizioni, la sua idea di scuola, di educazione, di formazione, di società, sono state profetiche, ma in negativo: hanno cioè in qualche modo precorso e per certi aspetti favorito lo spettacolo piuttosto desolante cui oggi assistiamo, dove imperano idoli che solo apparentemente sono a favore della persona umana. La Montessori credeva nell'educazione ambientale, ma questa oggi si è tramutata in un martellante integralismo ambientalista; sosteneva l'educazione alla pace, ma il risultato è un astratto pacifismo a senso unico, che ignora le vere dittature; credeva nell'educazione alla mondialità (con l'obiettivo di abolire tutti i confini), ma siamo ridotti a subire un globalismo totalitario che soffoca ogni identità. Insomma, una delusione, ben dissimulata da una narrazione agiografica e acritica che non ci aiuta a cogliere i limiti e le contraddizioni di una "maestra del sospetto", intenta a vanificare - con le sue idee e le sue opere - la struttura naturale della convivenza umana, a partire dalla figura e dal ruolo della donna. Al punto che gli attuali sostenitori, ad esempio, del divorzio e dell'aborto volontario, trovano facilmente in lei un punto di riferimento perché da protofemminista sosteneva la più totale libertà di scelta e di autodeterminazione, fuori da ogni schema precostituito e da ogni pregiudizio.
La novità è che ora è diventata anche l'idolo dei movimenti Lgbt, che combattono contro le cosiddette discriminazioni di genere. Perché? Perché il metodo Montessori non prevede percorsi differenziati maschio-femmina. Infatti gli ausili didattici sono neutri (niente bambole o soldatini); non ci sono in aula o nell'abbigliamento degli scolari colori che distinguono (il rosa e l'azzurro); non c'è competitività, con il rischio che prevalgano i maschi, perché non si dà peso a voti e giudizi; non c'è il timore di favorire comportamenti differenziati a seconda del sesso, perché l'impostazione prevalentemente pratica del metodo fa sì che tutti imparino ad esempio i lavori domestici.

Vincenzo Sansonetti
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 31/08/2020


LA FICTION DI PAOLA CORTELLESI SULLA MONTESSORI DIMENTICA DI DIRE CHE APPOGGIAVA L'EUGENETICA, LA MASSONERIA E L'ESOTERISMO
Sulla Montessori è stata fatta una fiction che, ovviamente, ha tralasciato tutte le ombre per esaltare le (supposte) luci. Ad esempio viene nascosto il fatto che la Montessori si era iscritta alla Società Teosofica della medium russa Helena Blavatsky che odiava il cristianesimo (sì, lo odiava proprio).
Per leggere la critica alla fiction e per approfondire cosa sia la teosofia (a cui aveva aderito la Montessori) e perché è all'origine dell'occultismo moderno, clicca sul seguente link.
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5594


11 - CATTIVI MAESTRI (2): RUDOLF STEINER
I medici e gli insegnanti che si ispirano al pensiero steineriano sono molto pericolosi (inoltre la società antroposofica di Steiner propaganda eresie)
articolo non firmato

La cosiddetta medicina antroposofica è stata fondata da Rudolf Steiner e dalla dottoressa olandese Ita Wegman: costei, nata in Indonesia, primogenita di una famiglia coloniale olandese, ben presto si affermò professionalmente a livello internazionale per le proprie capacità; invitata nel 1923 dallo stesso Steiner ad entrare nel Consiglio esecutivo della Società Antroposofica, nel 1936 ne venne espulsa, assieme ad un buon numero di sostenitori, proseguendo indisturbata la propria carriera medica, soprattutto in Inghilterra e nei Paesi Bassi.
In ogni caso, furono Steiner e Wegman a porre le basi della medicina antroposofica col libro dal titolo Elementi fondamentali per un ampliamento dell'arte medica secondo le conoscenze della Scienza Spirituale. E questo non è che uno soltanto degli ambiti influenzati dal pensiero antroposofico, entrato anche nella sfera pedagogica con le scuole Waldorf, presenti numerose anche in Italia, nella sfera agricola con la biodinamica, nella sfera finanziaria con la Triodos Bank e nella sfera religiosa con la «Comunità dei Cristiani», che in realtà di cristiano ha ben poco: voluta da un gruppo di protestanti tedeschi e svizzeri, con Steiner nel ruolo di ispiratore e, di fatto, di co-fondatore, la «Comunità dei Cristiani» ai propri aderenti propone la reincarnazione e trasforma la celebrazione dell'Eucarestia in quello che chiamano «Atto di Consacrazione dell'Uomo», atto tutto impregnato di antroposofia: esso "riattiverebbe" nei fedeli il potere di Cristo, che "consacrerebbe" così la natura umana. Come si può capire, tutt'altro rispetto al sacrificio eucaristico, di cui richiama al massimo la parvenza, la cornice, tradendo tuttavia totalmente la sostanza e snaturandone il cuore.

IL PENSIERO STEINERIANO È PERICOLOSO
Ma perché il pensiero steineriano è tanto pericoloso? Esponente autorevole della Società Teosofica, Steiner nel 1906 fondò a Berlino un Capitolo ed un Gran Consiglio del Rito Riunificato di Memphis-Misraïm, inaugurando così la propria militanza massonica. La sua loggia venne denominata «Mystica Æterna», divenne Gran Maestro deputato, inaugurò altre logge in Germania, sinché non decise di staccarsi dalla propria obbedienza e di fondare qualcosa di nuovo, la «Massoneria esoterica». Dimessosi anche dalla Società Teosofica, seguito da 55 delle 65 logge che la costituivano, Steiner puntò tutto sulla sua Società Antroposofica, ormai indipendente. La sua attività si pose spesso strutturalmente in contrasto con la Chiesa cattolica: accusò i Concilii di Nicea e di Costantinopoli d'esser responsabili della decadenza spirituale dell'Occidente per aver rifiutato la reincarnazione e la tripartizione soma-psiche-nous. Non solo: nella letteratura antroposofica, ci si sofferma su figure, definite «spirituali» e "necessarie" nel piano cosmico quali Lucifero e Arimane, che, nello zoroastrismo, rappresenta lo spirito malvagio e distruttore, posto a capo di una schiera di demoni. Steiner, inoltre, individua due Gesù: un Gesù «Salomone» ed un Gesù «Nathan», diversi eppure misteriosamente fusi in uno solo al momento della disputa coi dottori del tempio e del Battesimo nel fiume Giordano. Quest'unico Gesù sarebbe stato così evoluto da poter ricevere in sé il Cristo, che, al momento della crocifissione, avrebbe lasciato il suo corpo e sarebbe divenuto lo spirito della Terra, nonché il corpo fisico ed eterico degli uomini. Da questo momento in poi Arimane sarebbe stato rinchiuso all'inferno e gli uomini più evoluti avrebbero potuto superare l'epoca della Terra e passare agli stadi successivi di Giove, Venere e Vulcano. È evidente come qui ci si trovi dichiaratamente in presenza di un'autentica eresia rispetto alla dottrina cattolica.

UNA VISIONE PEDAGOGICA DEVASTANTE
Da far notare, dunque, l'importanza di conoscere il pensiero di questo personaggio, pensiero che influenza anche la sua visione pedagogica con i dodici sensi posti astrologicamente in relazione ai dodici segni dello zodiaco, e quella medica, fortemente condizionata da metempsicosi, chakras o centri energetici, nessi karmici e mondo animico: i pazienti affidatisi ai "terapeuti" antroposofici sono stati spesso convinti a smettere o rinviare le cure loro suggerite dai medici, quelli veri. In ogni uomo convivrebbero una natura fisica, una eterica, una astrale e l'Io. Al momento del decesso, l'individuo abbandonerebbe la natura fisica, ma resterebbe per qualche giorno in possesso di quella eterica, che successivamente verrebbe a sua volta deposta, per vivere un periodo di purificazione nel mondo animico sino alla separazione dalla natura astrale. Resterebbe a quel punto l'Io quale «seme», che, dopo un periodo oscillante tra i 500 ed i mille anni, riceverebbe un nuovo corpo astrale ed eterico, sceglierebbe i propri genitori, vedrebbe rappresentata la vita futura ed, alla fine, si reincarnerebbe in un nuovo corpo. Concetti lontani anni-luce dai fondamenti del Cattolicesimo.

Mauro Faverzani
Fonte: Radio Roma Libera, 7 giugno 2021


12 - CATTIVI MAESTRI (3): DON MILANI
Il parroco della Barbiana ha contribuito alla devastazione della scuola italiana (che non premia i meriti, toglie autorevolezza al docente, non prepara alla vita, non educa, anzi devasta i ragazzi)
articolo non firmato

È cominciato in anticipo e in modo imbarazzante il ricordo di don Lorenzo Milani, il mistico parroco della Barbiana, a cinquant'anni dalla sua morte. È cominciato sull'onda di un libro assai controverso di Walter Siti, Bruciare tutto, dedicato a don Milani. È un libro che racconta la storia di un prete pedofilo. [...]
Non è di questo però che vorrei parlarvi, perché non amo i processi alle intenzioni, sortiti da mezze frasi; preferisco giudicare un uomo dall'intera sua personalità, vita e attività e non per un suo pur inquietante risvolto, che peraltro stride troppo con la testimonianza di chi lo ha conosciuto e amato.

UNA NOCIVA UTOPIA
Di don Milani ho il rispetto che si deve agli idealisti in buona fede; ma insieme nutro la diffidenza che si deve al loro devastante idealismo, alla loro generosa e nociva utopia. Si, perché furono negativi gli effetti delle sue buone intenzioni in termini di educazione, scuola e morale.
Altri idealisti in buona fede contribuirono in quegli anni a gettare le basi del nostro presente (gettare le basi qui sta per gettarle davvero, sostituendole col nulla); ad esempio l'anti-psichiatra Basaglia che animato dal benevolo furore di liberare i pazzi dai manicomi e dalla follìa che riteneva frutto dei muri ospedalieri, mise i pazzi in mezzo alla strada, gettando nella disperazione loro e i loro famigliari. [leggi: LA CHIUSURA DEI MANICOMI E I DANNI DELL'IDEOLOGIA DELL'ANTI-PSICHIATRIA, clicca qui, N.d.BB]
O Pannella, che ingaggiò con la sua pattuglia radicale tante battaglie animate da fervore ideale, che produssero una società più bastarda ed egoista, permissiva e mortifera, in forma di aborto, droga e suicidi, più contorno di trans e omo.
Tutti idealisti, persone di qualità, in buona fede, convinte di liberare l'umanità e migliorarla. Tra loro spicca don Milani. Che per giunta era prete, praticava la carità, si dedicava ai ragazzi con tutto il cuore, agiva nella Firenze dei La Pira, don Balducci e don Turoldo, ed è morto pure giovane. Lasciando a noi posteri i danni effettivi della sua amorosa utopia.

IL CONTRIBUITO ALLA DEVASTAZIONE DELLA SCUOLA ITALIANA
Don Milani sognava una scuola non dei ricchi ma di tutti, con il professore uguale ai suoi alunni, dialogante, senza bocciature e senza autorità, perché "l'obbedienza non è una virtù". Nobili intenzioni, ma spostiamoci sugli effetti.
La scuola di oggi che onora don Milani e non certo il modello della scuola di Gentile, fa assai più schifo della scuola di allora; la scuola che non premia i meriti e le capacità, che non seleziona e non è fondata sull'autorevolezza del docente, prepara sempre meno alla vita, non educa, non migliora i ragazzi e non suscita spirito di missione nei docenti; non produce alunni più liberi ed uguali ma più bulli e prepotenti.
È una scuola che non ha ridotto le distanze tra ricchi e poveri ma le ha ingigantite; perché allora gran parte dei benestanti mandavano i loro figli nelle scuole pubbliche; ora invece li mandano alle private. La selezione non era classista ma il contrario, perché faceva risaltare le capacità personali, il valore, rispetto alla provenienza e all'appartenenza.
Se togli i meriti resta il censo, resta quel che ti dà la famiglia. Al mio liceo il preside era figlio di contadini e da ragazzo faceva il contadino pure lui; e il professore di lettere era figlio di trovatelli. Grazie alla loro tenacia e alla loro capacità, si erano fatti strada; il latino per loro non era una forma di oppressione di classe, come sostenevano gli allievi di don Milani, ma un mezzo per emanciparsi, persino un mezzo di rivalsa rispetto ai ricchi, pigri, incolti e viziati, i signorini insoddisfatti o i leopardiani annoiati - le due definizioni sono di Ortega y Gasset e Antonio Labriola - che non erano abituati alla fatica perché avevano una rendita di posizione.
La selezione dei più bravi aveva permesso il loro riscatto, la loro affermazione. I seguaci di don Milani chiesero di abolire i grembiuli, ritenuti strumenti di oppressione e di irreggimentazione; e così sono risaltate le differenze di classe tra i figli griffati della classe agiata e i poveracci di borgata.

LA FINE DELLA MERITOCRAZIA
La conoscenza della lingua italiana era un modo per uscire dalla loro origine umile e contadina e integrarsi. La valorizzazione del dialetto e del gergo quotidiano, che voleva don Milani, invece li restituisce alla loro condizione di partenza e al turpiloquio delle periferie degradate. Se ha prodotto un livellamento è stato verso il basso, nel senso che anche i figli di papà hanno cominciato a usare il turpiloquio sgangherato della tv e delle borgate.
La fine delle bocciature ha coinciso con la fine della meritocrazia, così si va avanti più di ieri per affiliazione, se si è figli o protetti dai potenti. La fine della leva obbligatoria, come sognava don Milani, ha prodotto la fine di uno dei pochi luoghi di socializzazione in cui i terroni convivevano coi polentoni, i ricchi con i poveri, ed ha eliminato pure gli obiettori di coscienza che servivano proprio ai preti per aiutare i malati, gli invalidi e gli anziani.
E il professore che un tempo godeva di prestigio e autorevolezza, è stato ridotto al rango di un poveraccio, a metà tra l'animatore di villaggio e la colf, o nel migliore dei casi l'istruttore di palestra e scuola guida. E' sceso nella scala sociale, fino a costituire un antimodello, ciò che i ragazzi non vogliono diventare. E tutto questo mentre il prof. per due terzi è femmina.
Insomma la brutta scuola d'oggi è figlia dei begli ideali di ieri. Lo dico anche all'amico Franco Cardini che elogia sempre don Milani. Franco, avevi ragione da ragazzo, quando a Firenze preferisti a don Lorenzo Attilio Mordini, cattolico della tradizione, morto anche lui a 43 anni, l'anno prima di don Milani. Mordini capì che la scuola senza educazione, tradizione e meritocrazia non ha più un ruolo e a farne le spese sono più i poveri che i benestanti.
Vorrei che don Milani fosse riconosciuto per la sua forte personalità e la sua grande idealità ma fosse riconosciuto come un cattivo maestro. A giudicare dai frutti, non dalle intenzioni.
Non un maestro cattivo, ma un cattivo maestro.

Marcello Veneziani
Fonte: Il Tempo, 23/04/2017


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